Dopo il «Viaggio nell’anima dell’Europa» di Carlo Ossola, da domenica 20 agosto la nuova serie firmata da Luca De Biase: «Il lavoro del futuro». Un viaggio nel cambiamento dei mestieri, nell’innovazione, nella crescita, tra paura e speranza.
Il lavoro dei figli. È una sintesi delle preoccupazioni degli italiani. Che fare? Si devono elaborare policy innovative per favorire l’accesso delle ragazze e dei ragazzi a un’occupazione. Ma per disegnarle c’è bisogno di una visione. Come sarà il lavoro nel futuro? Le previsioni funzionano raramente. Ma si può avere prospettiva andando a vedere che cosa succede dove il futuro viene costruito.
Il sistema economico italiano fatica a occupare i giovani. I motivi sono diversi ma i numeri sono schiaccianti: milioni di ragazze e ragazzi italiani sono esclusi dal lavoro, dalla possibilità di costruire una famiglia, dalla felicità. Il Sole 24 Ore dedica la massima attenzione alla crescente sensibilità dei cittadini, delle imprese e del governo intorno alla necessità di prendere forti provvedimenti per facilitare l’accesso al lavoro dei giovani. Ma mentre si discutono e deliberano le diverse possibili misure, ci si accorge che il sistema italiano è pervaso da singolari disallineamenti operativi e incredibili inefficienze nel mercato.
Frequentare l’università garantisce migliori chance di trovare lavoro, ma le immatricolazioni sono diminuite nell’ultimo decennio e solo recentemente sembrano essersi riprese. Intanto, le facoltà che garantiscono i migliori risultati in termini lavorativi, quelle statistiche e scientifiche, come attestano i dati del Miur e riportate in questi giorni su queste colonne, sono scelte in modo minoritario dai giovani italiani. Di conseguenza, le imprese che cercano tecnici e professionisti specializzati lamentano di non trovarne sul mercato, anche se questo non significa che gli stipendi aumentino in modo consistente visto che gli stipendi reali, anche per i trentenni che abbiano le specializzazioni più richieste, non hanno certo spiccato il volo in Italia: un data scientist trentenne nel Regno Unito arriva facilmente a 80 mila sterline mentre in Italia un system integrator può trovare un data scientist attraverso un fornitore di servizi di body rental a un prezzo tale per cui il lavoratore percepisce 24mila euro lordi annui.
E del resto sembra difficile trovare candidati anche per le occupazioni meno sofisticate: è persino banale osservare che per i lavori più umili si dimostrano disponibili soltanto persone che vengono da Paesi stranieri, mentre milioni di ragazzi italiani restano senza occupazione.
Questi disallineamenti provano una mancanza di visione comune. Che peraltro è comprensibile. Il carattere particolarmente duro delle difficoltà economiche attuali è dato – è ormai chiarissimo – dalla sovrapposizione di una dura crisi congiunturale e una profonda trasformazione strutturale che sfida le capacità interpretative degli operatori economici più sofisticati e dunque a maggior ragione delle famiglie e delle aziende che si trovano più lontane dall’avanguardia dell’innovazione. L’accelerazione tecnologica, la riorganizzazione delle aziende, i nuovi vincoli alle scelte di politica economica, il contesto competitivo della globalizzazione cambiano il contesto operativo per le chi prende le decisioni. Un ragazzo che entri a scuola quest’anno uscirà dalle scuole secondarie dopo il 2030: chi abbia fatto l’esperienza dei cambiamenti che sono intercorsi negli ultimi quindici anni non può che guardare con incertezza ai prossimi tre lustri. Una mancanza di visione prospettica riduce la disponibilità a investire e rischiare, suggerisce una paralizzante indecisione.
Nel corso di una grande trasformazione come quella che attraversa l’economia attuale, le domande si moltiplicano e si fanno più difficili. Qual è la preparazione giusta per trovare un lavoro? Come si organizzano i collaboratori di un’azienda per prepararsi alle incertezze che il mercato promette per il futuro? Quali sono le politiche attive giuste per alimentare l’inclusione nel mondo del lavoro? Mentre si elaborano le proposte di policy – che riguardano il fisco, le regole del lavoro, l’università – che possono eliminare alcuni ostacoli all’accesso al lavoro, cresce il bisogno di una discussione prospettica e progettuale: occorre una visione sul lavoro del futuro se si spera che i giovani, le imprese e le autorità pubbliche possano investire con energia su scelte innovative.
Ebbene. Non esistono modi per prevedere il futuro. Ma si possono andare a vedere come stanno le cose nei luoghi che sembrano più vicini al futuro per tecnologia, organizzazione, elaborazione intellettuale. Ed è quello che da domani, per alcune settimane, il Sole 24 Ore si propone di fare con la serie «Il lavoro del futuro».
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