
L’Italia scala le posizioni tra i maggiori esportatori negli Stati Uniti, guadagnando due piazze rispetto alla fine dello scorso anno e attestandosi in nona posizione, per la prima volta davanti alla Francia. Risultato raggiunto grazie allo scatto del primo semestre, che in termini di dollari vale 23,7 miliardi di vendite, un miliardo e mezzo in più (+6,8%) rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Performance interessante anche perché realizzata in un momento non particolarmente brillante per i nostri partner europei, con la Francia a cedere 400 milioni di dollari rispetto all’anno precedente (-1,7%), la Germania a perderne 100(-0,2).
La rincorsa del made in Italy verso Washington è per la verità partita da tempo e i risultati danno il senso di un progressivo rafforzamento dei nostri prodotti: non dunque un balzo episodico legato magari a grandi commesse una-tantum, piuttosto un trend che va rafforzandosi.
Nel 2010 partivamo in effetti da una posizione decisamente meno brillante: 15esima piazza tra i fornitori degli Stati Uniti , superati da Francia e India ma anche da Taiwan e Venezuela: la nostra quota di mercato sul totale delle importazioni statunitensi si attestava all’1,5%.
Italia e Francia: export verso gli usa a confronto. Dati in miliardi di dollari: gennaio-giugno. (Fonte: US – Census Bureau)
Anche per effetto della maggiore indipendenza energetica di Washington (dalla lista dei maggiori esportatori sono scomparsi paesi come Nigeria e Arabia Saudita) da allora la risalita è stata continua, sia in valore assoluto che in termini relativi, con una quota di mercato italiana arrivata ora al 2,1%.
Il lungo “inseguimento” alla Francia è stato così infine coronato da successo, risultato di tassi di crescita nettamente divergenti: nel 2010 l’export transalpino verso Washington era pari a 38,6 miliardi di dollari, dieci miliardi oltre l’Italia (cinque miliardi il gap nel primo semestre); nel primo semestre 2017 siamo invece per la prima volta davanti noi, con 23,7 miliardi di dollari di export rispetto ai 23 miliardi di Parigi.
Proiettando fino a dicembre il trend del primo semestre L’Italia arriverebbe a superare i 48 miliardi di dollari di esportazioni, 20 in più rispetto a quanto realizzato nel 2010.
Uno scatto, quello del 2017, che non risente di particolari benefici in termini di cambio, con una valutazione media di periodo dell’euro inferiore solo di una manciata di centesimi (da luglio invece la situazione si è ribaltata) rispetto a quella dell’anno precedente.
A chi dobbiamo il sorpasso? In termini settoriali si segnalano ottime performance per chimica-farmaceutica e pelletteria ma è soprattutto la meccanica ad aver cambiato passo, trainando le statistiche verso l’alto.
In sette anni l’area dei macchinari in particolare ha aggiunto quasi tre miliardi di vendite, piazzando una crescita totale superiore al 60%.
Ancora meglio è però andata al settore auto, dove è evidente l’impatto dell’integrazione Fiat-Chrysler, che vede tra gli effetti collaterali un crescente flusso di vetture made in Italy dirette verso Washington. Nel 2010 l’export italiano di veicoli e componenti valeva 1,1 miliardi di dollari, a fine 2016 (ultimi dati disponibili a livello settoriale da U.S Census Bureau) ben quattro volte tanto. Corsa che prosegue anche nell’anno in corso, come testimoniato dalle rilevazioni Istat, che vedono nei primi sei mesi una crescita per l’auto negli Usa pari al 21,5%.
Durerà? Il momento d’oro del made in Italy si confronta ora con un’amministrazione decisamente meno “liberale” dal punto di vista degli scambi commerciali, con Trump impegnato a più riprese a criticare i disavanzi eccessivi accumulati nei confronti dei principali partner.
E l’Italia, anche se distante anni luce dalla Cina (ma con livelli dimezzati anche rispetto a Giappone e Germania) da questo punto di vista non può certo scomparire dai radar.
La crescita dell’export tricolore ha avuto infatti come conseguenza l’ampliamento del nostro avanzo commerciale (è il maggiore rilevato dall’Istat tra i singoli paesi), aumentando per converso il deficit sperimentato da Washington. Ora siamo al settimo posto, con un disavanzo che per gli Usa vale 14,4 miliardi di dollari nel primo semestre, più del doppio rispetto a sette anni fa.
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