La riforma comunitaria del settore biologico, sia pure dopo tre anni e mezzo di tira e molla, potrebbe vedere la luce entro l’anno. Ma le divisioni sui contenuti tra i partner restano. E sulla bozza di accordo votata a fine giugno dal Consiglio Ue, l’Italia conferma di essere contro. Con forti perplessità sui controlli di prodotti, in arrivo soprattutto da paesi extra-Ue, e sulle soglie di residui di fitofarmaci non ammessi nell’Unione europea.
Un argine che gli operatori italiani vogliono rafforzare, pur sostenendo elevati costi di certificazione, per frenare l’import di alimenti con standard di sicurezza e qualità spesso inferiori, e che oltre tutto aprono la strada a possibili frodi.
La questione rappresenta uno snodo fondamentale per la crescita di un settore che, in controtendenza alla crisi economica degli ultimi anni, ha inanellato continui incrementi a due cifre. Lo confermano i dati presentati ieri all’apertura del Sana, il Salone internazionale del biologico organizzato da BolognaFiere con FederBio (fino a lunedì 11 settembre) che sottolineano un “boom” di superfici agricole e operatori (+20% circa nel 2016, in base a rilevazioni Sinab). L’Osservatorio Sana 2017 realizzato da Nomisma indica che i consumi nella Grande distribuzione organizzata sono aumentati del 16%, con un’incidenza del bio sul totale vendite alimentari che ormai raggiunge il 3,5%, cinque volte di più rispetto al 2000.
«Solo nell’ultimo anno – ha sottolineato Silvia Zucconi, responsabile dell’indagine – il biologico ha guadagnato’20 milioni di famiglie acquirenti». E intanto l’Ismea evidenzia un ulteriore +10,3% di vendite tra gennaio e giugno di quest’anno, con crescite record per pollo (+61%) e vino biologico (+108%). Il tutto per un giro d’affari al consumo che sfiora ormai i 5 miliardi, di cui oltre 1,9 miliardi realizzato all’estero. Questo in base a stime condotte da Nomisma con dati aziendali (per i prodotti bio non esistono codici doganali), che riguardano per lo più prodotti trasformati. Mentre le importazioni (fonte AssoBio) si limitano a 90 milioni di euro per la frutta tropicale, 12 milioni per cereali, 10 per soia, farine proteiche e poco altro per prodotti come zucchero, caffè e cacao.
L’Italia si conferma dunque esportatore netto di biologico, secondo Paese alle spalle degli Stati Uniti. E anche per questo la filiera, sostenuta dalle istituzioni, sta facendo quadrato per confermare un primato riconosciuto nel mondo, ma che in prospettiva – senza un vero giro di vite a livello comunitario - rischia di scricchiolare. Rappresentanti delle associazioni bio di Francia, Germania e Olanda, intervenute ieri a Bologna, si sono dette favorevoli alla proposta di regolamento della Commissione, sia pure con correttivi tecnici da apportare in corso d’opera. Anche se l’accordo, dopo 18 Triloghi in 42 mesi con Parlamento e Consiglio Ue, resta molto fragile.
Intanto in Italia è alle battute finali, in attesa di approvazione al Senato (relatrice Maria Teresa Bertuzzi), il Ddl di riforma del testo unico sul biologico, che prevede azioni di formazione, ricerca e distretti regolamentati per il settore. Un altro decreto legislativo, focalizzato sui controlli, stenta a trovare la quadratura e rischia di finire su un binario morto. Il viceministro delle Politiche agricole, Andrea Olivero, ieri ha detto che «il settore è già uscito dalla condizione di nicchia, ma bisogna evitare che l’atto di fiducia dei consumatori sia tradito». E a livello Ue, «non siamo sostenitori di un regolamento a qualunque costo: l’Italia non metterà veti, ma se la riforma deve essere brutta, meglio bloccarla».
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