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In Italia si cercano 3mila innovation manager. Ecco chi sono (e cosa…

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In Italia si cercano 3mila innovation manager. Ecco chi sono (e cosa fanno)

(Agf)
(Agf)

Secondo Obiettivo 50, un'associazione indipendente di manager e consulenti, le Pmi italiane avranno bisogno di un’infornata di 3mila «innovation manager» entro il 2020. Sempre che, nel frattempo, si sia capito in cosa consiste esattamente la figura. L’associazione lo descrive come un manager «che innova i modelli di business», all’interno di un trend figlio dell’industria 4.0 e di una digitalizzazione che pervade anche i comparti più tradizionali. Ma oltre alle etichette più generiche ci sono qualifiche che rispondono a criteri, funzioni (e stipendi) ben definiti sul mercato domestico e internazionale.

Cosa fa e come si diventa un innovation manager
Stando alla definizione della Sda Bocconi, la business school dell’ateneo milanese, l’innovation manager si occupa di un aggiornamento tecnologico che deve essere «inteso sia in ordine all'innovazione di prodotto, di processo, di servizio e alla creazione di nuovi business e mercati». Tradotto su campo, i manager di settore devono abbinare funzioni più “contabili” di pianificazione economico-finanziaria sul futuro ad analisi sui trend dell’innovazione, strategie per l’adeguamento tecnologico dell’impresa e un processo costante di contaminazione con quello che fermenta tra laboratori universitari e startup. In altre parole: stanare, valutare e nel caso adottare le soluzioni inedite che emergono nel proprio mercato, per evitare di perdere terreno rispetto alla concorrenza. Il problema è applicare i principi, tutti teorici, alla realtà delle 3,8 milioni di micro, piccole e medie imprese che compongono l’ossatura dell’economia italiana.

«Forse sarebbe meglio parlare “degli” innovation manager, al plurale, perché le competenze sono diverse» spiega Gianfranco Antonioli, presidente di Obiettivo 50. La casistica è ampia. L’innovation manager può traghettare un’impresa che produce eliche verso la stampa 3D (innovazione di prodotto) o convincere un’azienda automobilistica a tentare la via del car-sharing (innovazione di servizio). Gli studi richiesti? Come non esiste una definizione univoca, non esiste un curriculum fisso. Antonioli dice però che il profilo ideale, o quasi, integra esperienza senior in un certo segmento con competenze sbilanciate sull’Ict e la cosiddetta digital trasformation, la trasformazione digitale dei processi aziendali. Il bacino da cui attingere potrebbero anche essere manager o professionisti in cerca di collocazione. «I vari manager fuoriusciti da aziende, anche negli anni della crisi, possono riproporsi come innovation manager - dice Antonioli - Cercando di mettere a frutto il proprio patrimonio di conoscenza in questa maniera».

L’offerta effettiva di lavoro
Resta da capire se la «indispensabilità» degli innovation manager dichiarata dalle aziende si trasformi in una domanda effettiva di profili, magari con l’offerta di retribuzioni all’altezza del mercato internazionale. PayScale, un portale di comparazione degli stipendi, si spinge a stimare addirittura un valore “mediano” di circa 103mila dollari l’anno. Non è facile pensare a livelli simili nelle aziende italiane, dove fatica a prendere piede anche l’idea più generica di un dipartimento dedicato all’innovazione. Secondo dati degli Osservatori digital innovation del Politecnico di Milano, solo il 19% delle imprese si è dotata di una «Direzione innovazione», un segmento concentrato su studio e sviluppo di soluzioni che aggiornino il business in chiave tecnologica. Anche se il ritardo è, in parte, fisiologico: proprio l’introduzione di figure specializzate in innovazione spiana la strada alla strutturazione di una divisione a sé, trasferendo le competenze individuali nel lavoro di team. Come spiega Alessandra Luksch, direttore dell'Osservatorio startup intelligence del Politecnico di Milano, «prima bisogna assegnare il ruolo al singolo individuo, per fargli fare un lavoro perlustrativo e definire gli obiettivi - spiega - Solo successivamente si può strutturare la direzione innovazione». La maturità definitiva, in realtà, arriverebbe con il passaggio successivo: inglobare l’innovazione nel ciclo naturale di un’impresa, senza considerarla ancora come un corpo estraneo al “vecchio” business. «Dovrebbe esserci una cultura diffusa, non dovrebbe essere un ruolo a sé stante - dice Luksch - Per il momento, comunque, le imprese hanno iniziato a capire che devono diventare più veloci e si stanno adeguando».

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