Economia

Ilva, ostacolo antitrust sul dialogo

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SIDERURGIA

Ilva, ostacolo antitrust sul dialogo

Resta ancora aperta la frattura nel dialogo per il futuro dell’Ilva: l’auspicio è arrivare alla convocazione di un nuovo tavolo entro la settimana, ma l’imminente scadenza dell’indagine antitrust sulla stessa operazione rischia di porsi ogni giorno di più come un serio ostacolo sulla strada di una veloce ricomposizione della trattativa.

A una settimana dal brusco stop all’avvio della trattativa sindacale su Ilva da parte del ministro dello Sviluppo Carlo Calenda, le parti hanno continuato a lavorare sottotraccia per convincere ArcelorMittal - è il socio di maggioranza di Am Investco Italy, la cordata che si è aggiudicata gli asset dell’Ilva in amministrazione straordinaria - a rivedere le proprie posizioni di partenza, riformulando la proposta per agevolare il dialogo.

Si cerca una mediazione, visto che Mittal, secondo fonti vicine al gruppo, non ha alcuna intenzione di riformulare la propria proposta scritta. A complicare la situazione c’è anche la scadenza del dossier antitrust: secondo il calendario della Commissione l’indagine dovrebbe concludersi «prevedibilmente» entro il 26 ottobre. Diversi osservatori ipotizzano la possibilità che ArcelorMittal possa essere tentata di aspettare il verdetto della Commissione per avere un quadro più chiaro in vista di una decisione sul tavolo.

Si cerca nel frattempo un nuovo equilibrio, arbitrando sia sul numero degli occupati (Am fino a oggi ha accordato la possibilità di rilevare 10mila addetti su 14mila) che sui trattamenti salariali (Am nega di avere mai garantito un costo del lavoro medio mensile di 50mila euro per 10mila addetti, circostanza che Calenda riteneva invece acquisita).

«Era chiarissimo per noi che a quei 10mila corrispondesse un salario medio di circa 50mila euro che è quello che attualmente si percepisce - ha ribadito nei giorni scorsi il ministro, intervistato su Rai3 -. Non penso che sia un problema dirimente sul business plan» del proponente. Per quanto riguarda gli altri trattamenti salariali (la proposta Am prevede che i lavoratori vengano assunti ex novo) Calenda, pur riconoscendo che il tetto di produzione fissato a 6 milioni è uno svantaggio, ha aggiunto di non ritenere «giusto che un operaio che ha lavorato venti anni ricominci da capo». Sembra definita, invece, la soglia occupazionale: «l’offerta è tenere 10mila addetti su 14mila, di cui oggi circa 2mila sono in cassa - ha ribadito Calenda -. Gli altri 4mila non verranno licenziati: rimangono sull’amministrazione straordinaria, che si occuperà di bonifiche con 1,1 miliardi di euro già in cassa».

L’auspicio di Calenda è che «questa settimana Mittal riconosca che il punto di partenza è il salario attuale. Poi riconvochiamo il tavolo, si siederanno le parti e cercheremo di tutte sulle posizioni più pragmatiche - ha detto -. Se Mittal non accetta se ne assumerà la responsabilità. Se i sindacati non accettano, bisognerà ricominciare da capo, e questa prospettiva non la voglio neanche immaginare». Di buon senso ha parlato ieri anche il presidente di Confindustria, Vincenzo Boccia. «Se vogliamo costruire aziende competitive nel Paese dobbiamo fare un’operazione verità con buon senso e pragmatismo con il rispetto di tutti, compresi i lavoratori».

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