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Inceneritori pieni, riciclo a rischio di paralisi

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Inceneritori pieni, riciclo a rischio di paralisi

(Ansa)
(Ansa)

Il riciclo dei materiali potrebbe fermarsi perché non c’è più spazio disponibile negli inceneritori, che accettano quasi solamente immondizia urbana.
Sembra un ossimoro, un’incongruenza: perché se gli inceneritori sono intasati dalla spazzatura ordinaria rischia invece di fermarsi il settore del riciclo di carta, plastica, metalli, legno o vetro?
Semplice. Se cresce la quantità di materiali da riciclare, aumentano anche i rifiuti che, mescolati con quelli da rigenerare, non possono però essere riutilizzati.

Però inchieste giudiziarie, norme populiste, pareri di consulenti, condizioni di mercato stanno “intasando” gli inceneritori e l’industria della rigenerazione non sa più dove smaltire gli scarti che arrivano insieme con i materiali da riciclare. E rallenta l’attività di ricupero.

L’allarme arriva dall’Assocarta, l’associazione dell’industria cartaria, uno dei settori a più forte tasso di riciclo in Europa, ma la situazione di difficoltà di accesso agli impianti di incenerimento è confermata dagli altri comparti della rigenerazione. Non a caso qualcuno sta pensando di esportare i materiali verso i cementifici stranieri, come in Slovenia o in Austria, dove c’è fame di combustibili di qualità altissima e a bassissimo impatto ambientale.

I dubbi riguardano la cosiddetta economia circolare, cioè il riutilizzo delle risorse, la quale troppo spesso è sostenuta solamente a parole. Ma l’attenzione dell’Assocarta tocca anche aspetti più pratici come gli investimenti varati dalle maggiori cartiere italiane nel settore del cartone ondulato per imballaggio, settore che si “ciba” di grandi quantità di carta da macero e che quindi produce molti scarti irriciclabili che arrivano mescolati con le materie prime. Questi investimenti produttivi che aumentano il riciclo di carta potrebbero essere congelati. Ma il problema di non poter smaltire i rifiuti irriciclabili riguarda anche gli impianti di ricupero e rigenerazione di metalli, scarti organici, legno, vetro e in misura assai rilevante soprattutto il settore del riciclo della plastica.

«Accade soprattutto al Nord», avvisa l’Assocarta. I grandi impianti di incenerimento hanno ricevuto il mandato di aprire i cancelli ala spazzatura delle città, e mettono in coda i rifiuti selezionati prodotti dalle imprese. Anche il mercato induce a questa scelta: un inceneritore viene pagato per bruciare una tonnellata di immondizia cittadina una cifra spesso superiore a 130 o 140 euro, che è fuori portata per un qualsiasi ciclo industriale.

Qualsiasi attività di trattamento dei rifiuti produce scarti: per esempio il riciclo di carta, plastica, vetro, legno e organico nel 2014 ha prodotto scarti per 2,5 milioni tonnellate da collocare come recupero energetico, quando tecnicamente possibile, o se non c’è alternative gettate in discarica.

Secondo i dati presentati dal presidente di Assocarta, Girolamo Marchi, dal 2018 si produrranno circa 900mila tonnellate in più di carta per imballaggio, aumentando così anche il consumo annuo di carta da riciclare, che passerà dalle attuali 4,9 milioni di tonnellate nel 2016 a circa 6 milioni di tonnellate. L'utilizzo attuale di carta da riciclare comporta una produzione minima di scarti dal processo di riciclo per 300mila tonnellate. «I nostri concorrenti europei hanno impianti a piè di fabbrica, oppure vanno in impianti di termovalorizzazione o in altri impianti industriali come cementifici», osserva Marchi. Protesta anche Assorecuperi: «Le aziende lombarde che ritirano e trattano i rifiuti non sanno più dove smaltire il residuale, gli inceneritori e le discariche regionali sono saturi e i prezzi per i conferimenti stanno lievitando».

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