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Siccità e idroelettrico a mezzo servizio: cresce l’import di…

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ENERGIA

Siccità e idroelettrico a mezzo servizio: cresce l’import di energia

(Imagoeconomica)
(Imagoeconomica)

Anche il mese di ottobre si è chiuso senza nemmeno una goccia di pioggia su gran parte dell’Italia e le centrali idroelettriche faticano a stare al passo con la domanda di energia con le dighe a secco con riserve di acqua mai così basse nell’ultima quarantina d’anni. Per soddisfare i consumi ricominciano a marciare le più costose centrali termoelettriche, soprattutto i “cicli combinati” che bruciano il pregiato metano. Nel frattempo in Francia sono in corso alcune fermate di reattori atomici per consentire controlli ai sistemi di sicurezza; la minore disponibilità di energia nucleare francese potrebbe far ripetere quell’impennata ai prezzi europei dell’elettricità che dieci mesi fa aveva messo in crisi molti consumatori e soprattutto diverse aziende elettriche italiane che non avevano praticato ricoperture sul rischio prezzo.

Idroelettrico all’asciutto

Secondo le rilevazioni elaborate l’altra settimana da Terna, la Spa dell’alta tensione, in settembre è cresciuto il ricorso alle importazioni di corrente (+21,8% rispetto a settembre 2016), la produzione delle centrali idroelettriche, pur in aumento rispetto al 2016, con 3,4 milioni di chilowattora è in forte riduzione rispetto ad agosto (-9,8%) e nei primi nove mesi dell’anno perde il -11,7%. Lo stato di riempimento delle dighe idroelettriche in settembre era pari al 51,7%, cioè rispetto alla capacità massima contenevano la metà dell’acqua, ma drammatico 35,6% di riempimento (appena un terzo della capacità) per i bacini del Centro-Sud. Il dato è il minimo rilevato nel periodo 1970-2016.

Conferma l’Anbi, l’associazione delle bonifiche e dei consorzi irrigui: «Dal 2010 a oggi in Italia le disponibilità idriche si sono praticamente dimezzate, con forte accentuazione del fenomeno al Nord», specifica il direttore Massimo Gargano. In settembre i bacini irrigui contenevano 1 miliardo di metri cubi contro 1,51 dell’anno scorso, 1,73 del 2015 e i 2,31 miliardi di metri cubi del 2010. Al fango del fondo le riserve nei bacini artificiali dell’Alta Italia, circa 2,5 milioni di metri cubi contro gli 11 dell’anno scorso.

In secca anche i fiumi. Allarmati i contadini per il Po, da 8 anni mai così basso: «La carenza di piogge e le alte temperature — afferma la Coldiretti Lombardia — stanno mettendo a dura prova il Po che al Ponte della Becca a Pavia è ormai sceso di 3 metri sotto lo zero idrografico».

Il nucleare francese

Una ventina di reattori atomici francesi — ha avvisato un paio di settimane fa l’EdF — hanno bisogno di controlli sulla sicurezza e alcuni di questi vengono fermati per poter svolgere le verifiche. Pare che le condotte del sistema antincendio si siano indebolite ad di sotto della soglia di sicurezza in caso di terremoto. Se venissero scosse, il sistema antincendio entrerebbe in avaria e non garantirebbe lo spegnimento delle fiamme.

Già un anno fa i controlli alla sicurezza degli impianti francesi avevano rilevato difetti nella fusione dell’acciaio del nocciolo di un reattore, e quindi era stato necessario spegnere molti reattori. La Francia, che con il nucleare fornisce elettricità a basso costo a mezz’Europa, ha smesso di esportare corrente e alzi ha dovuto approvvigionarsi sui mercati europei: le Borse elettriche, anche quella italiana, avevano subito sentito l’effetto sulle quotazioni del chilowattora. Lasciando spiazzate molte aziende.

Il fenomeno potrebbe ripetersi, e i segnali non mancano. In Germania per esempio stanno soffrendo l’effetto della siccità non solamente le centrali idroelettriche delle Alpi Bavaresi ma anche il corso del Reno, le cui acque sono basse e tiepide e ciò rende meno efficienti le grandi centrali termoelettriche e nucleari che hanno bisogno di quell’acqua per raffreddare il ciclo produttivo.

Trader in difficoltà

È dei giorni scorsi la notizia che una società elettrica indipendente, la Emmecidue Trading, sta andando verso il concordato pieno liquidatorio. Non è il primo caso di aziende energetiche in difficoltà negli ultimi mesi. Già tempo fa l’imprenditore Filippo Giusto con la crisi della sua Esperia aveva lanciato l’allarme: attenzione — avvertiva Giusto — al problema creato dalle morosità poiché la società elettrica deve comunque pagare i produttori di elettricità e l’Erario per le bollette emesse (le aziende elettriche sono anche esattori pubblici e sostituti d’imposta, come dimostra il caso del canone Rai) anche se il suo cliente non ha pagato il chilowattora.

«Il problema delle morosità è rilevantissimo anche sulle società con le spalle larghe come noi», conferma per esempio Fabio Bocchiola, amministratore delegato della filiale italiana del multinazionale elettrica svizzera Repower. «Noi per fortuna abbiamo puntato sulla qualità del rapporto con la clientela, che dai sondaggi risulta la più soddisfatta fra i consumatori delle diverse compagnie elettriche».

Però è accaduto anche un altro meccanismo spiazzante. Il rincaro dei prezzi elettrici del 2017 generato dalle difficoltà del nucleare francese ha tagliato le gambe a numerose società elettriche dalle politiche commerciali più aggressive che avevano puntato la strategia sul solo fattore prezzo.

Diverse società elettriche avevano risparmiato sulle ricoperture dal rischio prezzo in modo da offrire ai consumatori (soprattutto con le amministrazioni pubbliche o con le aziende piccole e medie) contratti a listino stracciato. Ed erano state fatte politiche commerciali anabolizzanti che portavano a gonfiare il portafoglio clienti, senza badare se buoni pagatori o morosi. Però poi quest’anno le quotazioni di approvvigionamento del chilowattora sono cresciute e hanno superato perfino i prezzi di rivendita. Per queste società elettriche ogni cliente, ogni chilowattora venduto, è diventato una fonte di perdita. Più si vendeva e più si allargava il passivo. Così sono entrate in crisi nera aziende elettriche con coperture povere e quindi esposte al fattore prezzo, oppure i trader con un portafoglio gonfiato di steroidi commerciali ma povero di clienti pagatori, o peggio ancora per chi aveva unito le due politiche commerciali: pessimi clienti ai quali erano stati offerti prezzi bassissimi grazie ai risparmi fatti sulle ricoperture dai rischi.

Ecco le difficoltà in cui s’era imbattute aziende stimate come Gala, Meta Energia, Youtrade e altre. (Tra queste società Il Sole24Ore del 2 novembre ha riportato erroneamente anche la società Illumia, la quale invece non ha niente a che fare con questo momento di difficoltà del mercato. Ci scusiamo con la società citata per errore e soprattutto ci scusiamo con i lettori). Alcune di queste hanno dovuto nelle settimane scorse correre ai ripari e rinegoziare i contratti di fornitura con i clienti, altre hanno perso clienti, altre ancora hanno cambiato strategia e qualcuna, purtroppo, invece si prepara a uscire dal mercato. «È un peccato — conclude Bocchiola di Repower — perché quello elettrico è un mercato simile a quello finanziario, e come nel risparmio servirebbe un albo dei gestori che desse sicurezza a operatori e clienti».

Le speculazioni sui mercati derivati

I conti di molte società elettriche non sono stati colpiti solamente dall’effetto prezzi. Negli ultimi anni le nuove centrali termoelettriche a ciclo combinato a metano hanno lavorato poco. Qualche ora alla settimana. Ogni volta che si alza un filo di vento, quando il sole si fa più intenso, quando la pioggia è più forte le centrali eoliche, solari e idroelettriche costringono gli impianti termici a spegnersi facendo schiumare di rabbia le società elettriche che avevano investito capitali impegnativi per costruire centrali così poco redditizie. Solamente ora, con la riduzione dell’offerta idroelettrica e con i problemi del nucleare francese, le centrali termoelettriche hanno ricominciato a marciare.

Così l’anno scorso e nella prima metà del 2017 diverse aziende avevano trovato modi diversi per rientrare dalla spesa e ricuperare gli investimenti, nel caso delle centrali elettriche sempre spente, oppure per rientrare dai costi generati dai prezzi troppo alti non garantiti da ricoperture. E lo strumento in diversi casi è stato ricorrere al mercato del dispacciamento, cioè un mercato derivato dei servizi elettrici gestito da Terna. In qualche caso le centrali quasi sempre spente ricuperavano parte dei costi nei momenti di carenza di elettricità: il mercato ha pagato follie perché quelle centrali venissero accese. Questo era accaduto a centrali di diverse società anche in settembre.

L’altro meccanismo ricorrente, praticato invece soprattutto da trader di elettricità che non posseggono centrali, era prenotare quantitativi di elettricità che spostassero le previsioni di domanda e quindi di prezzo. Si chiamano sbilanciamenti volontari.

L’Autorità dell’energia e l’Antitrust hanno indagato più volte e hanno avvisato o sanzionato le aziende elettriche per questi comportamenti. E alcune delle aziende elettriche sanzionate non sono riuscite a reggere l’entità della restituzione degli extraprofitti.

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