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I 50 marchi emergenti del Made in Italy

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I 50 marchi emergenti del Made in Italy

(Imagoeconomica)
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Ci sono piccoli gioielli di nicchia come il pastificio Andriani, un fatturato da 36 milioni di euro e una specializzazione nelle farine senza glutine. E ci sono aziende di medie dimensioni come la Twin set, che ha un giro d’affari di oltre 230 milioni l’anno e che conta su una rete di 78 boutique a marchio proprio sparse per il mondo, da Montreal in Canada a Jedda in Arabia Saudita. «Eccellenze di oggi, multinazionali di domani», le definisce Aldo Scaringella, fondatore di Legalcommunity, che alla Icm Advisors ha commissionato la quarta edizione della ricerca «Fashion, food, furniture brands - Il valore dei marchi delle aziende 3F».

Il risultato è una short list di 50 Pmi ad alto potenziale: perché hanno un marchio forte, perché puntano sull’internazionalizzazione, perché hanno un fatturato che cresce due o tre volte più velocemente della media del loro settore e perché della media sono due volte più redditive. Alcune di queste imprese verranno premiate il 28 novembre 2017 a Milano, durante l’evento SaveTheBrand 2017.

I 50 MARCHI EMERGENTI DEL MADE IN ITALY
(Fonte: Icm Research)

Le aziende sotto la lente sono comprese fra i 30 e i 300 milioni di euro di fatturato annuo e appartengono a tre settori chiave del Made in Italy nel mondo, la moda l’arredamento e l’alimentare. Prese tutte insieme, queste 50 Pmi valgono un giro d’affari di 4,1 miliardi di euro. Alcune sono Spa, altre rimangono società a responsabilità limitata. Tutte esportano. Ma per fare il vero salto di qualità sui mercati internazionali occorrerebbe loro quell’ingrandimento dimensionale che solo l’arrivo di nuovi capitali può dare.

Bond, quotazione in Borsa, fondi di investimento o acquisizioni: quanti di questi gioielli del Made in Italy sono veramente pronti? Spiega Pierangelo Biga, presidente e amministratore delegato di Icm Advisors, società specializzata nella valutazione dei beni immateriali delle aziende: «Dei mille brand ad alto potenziale che per la nostra ricerca monitoriamo ogni anno, più o meno un terzo è stato coinvolto in operazioni di M&A per mano di un’altra impresa o di un fondo. E di anno in anno cresce la quota di queste imprese che finisce nel mirino degli investitori». Eppure, non tutti vedono di buon occhio il mondo della finanza: «Di fondi interessati alla mia azienda ne ho incontrati tanti - spiega Alberto Stella, presidente del marchio di arredamenti Estel - tutti pongono attenzione ai numeri, nessuno alla domanda e al mercato. Preferisco molto di più cercarmi un buon partner industriale, magari con una dimensione aziendale superiore alla mia».

In Italia la produzione dell’industria agroalimentare - che ha chiuso il 2016 con un giro d’affari di 132 miliardi di cui 38 provenienti dalle esportazioni - sta assistendo in particolare al boom di due sottosettori. Uno è il biologico, che nel 2016 ha fatturato 1,3 miliardi, è cresciuto del 20% e conta già su 5,2 milioni di famiglie che ne acquistano i prodotti regolarmente tutte le settimane. L’altro è il segmento dei cosiddetti “prodotti senza” (glutine, caffeina o lattosio per esempio), che hanno superato il tetto dei 2 miliardi di euro di vendite all’anno. Ed è proprio in questi due comparti che stanno nascendo alcune delle nostre Pmi più eccellenti: «Il tema della sostenibilità si sta rivelando vincente - spiega Biga - in Italia e all’estero cresce l’appeal del biologico sia come prodotto finito, sia come materia prima. La sostenibilità è una filosofia sempre più trasversale anche ad altri settori: penso per esempio ai pannelli per costruire i mobili, oppure alla moda green».

L’ecologia non è l’unico tema in crescita: «Nella prossima edizione della lista - dice Aldo Scaringella di Legalcommunity - oltre ai marchi che puntano sulla sostenibilità, mi aspetto di veder aumentare il numero delle aziende vinicole, che stanno andando molto bene all’estero, come insegna il caso delle bollicine Ferrari nella classifica di quest’anno».

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