Big data, analytics, business intelligence e data science diventano sempre più strategici per le grandi aziende italiane. Quest’anno gli investimenti dovrebbero superare i 1,1 miliardi, con un aumento di oltre un quinto sul 2016, e l’87% della spesa fa capo alle grandi imprese che stanno accelerando nella corsa verso gli algoritmi. Complessivamente il settore con la maggiore quota di mercato è quello delle banche (28%) seguito da industria (24%), tlc e media (14%). In alcuni comparti come il manifatturiero, assicurazioni e servizi il trend di crescita è superiore al 25% annuo, seguono banche, Gdo. Tlc e media segnano un incremento tra il 15 e il 25%. Per utilities, Pa e sanità invece lo sviluppo è più modesto.
È quanto rivela l’Osservatorio Big data analytics & business intelligence realizzato dal Politecnico di Milano che sarà presentato mercoledì. «Il mercato è mosso dalle grandi imprese che conoscono le opportunità offerte dall’analisi descrittiva delle informazioni, studiano nuove progettualità e si orientano verso gli aspetti predittivi e di ingegnerizzazione degli algoritmi tesi ad automatizzare processi e servizi, perseguendo quella che potremmo chiamare la “seconda ondata” di una strategia guidata dalle informazioni» spiega Alessandro Piva, responsabile della ricerca dell’Osservatorio. Per quanto riguarda le Pmi, anche a fronte dei forti investimenti necessari, guardano con interesse all’analisi e l’uso di strumenti di analytics di base e di data visualization oltre a servizi di supporto al marketing. Per tutte le imprese un importante aiuto arriva dal piano Industria 4.0 e dagli incentici come l’iper e super ammortamento che agevolano gli investimenti in innovazione e digitalizzazione come, per esempio, l’addittive manufacturing, cloud, cybersecurity, big data e analytics.
Le grandi imprese stanno accentuando l’impegno per estrarre valore e conoscenza dalla mole di dati che nell’arco degli ultimi lustri hanno raccolto con strumenti, sensori o registrando il comportamento dei clienti e consumatori. «La realtà italiana rispecchia i trend che osserviamo nei principali competitor europei e spesso gioca un ruolo innovativo – aggiunge Marco Vernocchi, Head of applied intelligence in Europa di Accenture -. Il settore manifatturiero, per esempio, sfrutta i dati raccolti dai sensori e l’internet delle cose, il retail per il marketing e fini commerciali, le telco, le utilities, banche e assicurazioni grazie ai big data analytics possono differenziare l’esperienza e l’offerta commerciale dei clienti».
L’Osservatorio evidenzia gli obiettivi dei progetti di analytics varati e i risultati ottenuti. Si è puntato a migliorare il rapporto con il cliente (70%), aumentare le vendite (68%), tagliare il time to market (66%), ampliare l’offerta di nuovi prodotti e servizi e ottimizzare quella attuale per aumentare i margini (entrambi al 64%), ridurre i costi (57%) e cercare nuovi mercati (41%). Per quanto riguarda quello che le imprese hanno poi ottenuto spicca nella totalità dei casi l’engagement con il cliente. Seguono l’aumento delle vendite (91% dei casi), il calo del time to market (78%), la creazione di nuovi prodotti e servizi (67%), l’aumento dei margini raggiunta con l’ottimizzazione dell’offerta (73%) e il taglio dei costi (56%). Un quadro che i ricercatori del Politecnico considerano nel complesso positivo seppure molte imprese stiano oggi realizzando i progetti. «Le società si devono dotare di nuovi modelli organizzativi in grado di gestire queste opportunità di innovazione - avverte Carlo Vercellis, responsabile scientifico dell’Osservatorio -. Rispetto al passato sono stati fatti importanti progressi nel reclutamento dei data scientist, figure specializzate presenti in quasi la metà delle grandi aziende. Di queste più del 30% ha definito formalmente il ruolo e la collocazione organizzativa di questi professionisti».
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