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Effetto Nimby, bloccati in Italia 359 progetti

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Effetto Nimby, bloccati in Italia 359 progetti

No alla centrale elettrica, no all’inceneritore, no al gasdotto, no ai ventilatori eolici, no ai cassonetti dell’immondizia, no al pozzo per la ricerca di giacimenti, no all’impianto di selezione dei rifiuti. Energia e rifiuti sono i temi contro i quali si manifesta l’opposizione cieca all’evoluzione. L’Osservatorio Nimby Forum per il 2016 ha censito 359 opposizioni contro opere di utilità pubblica oppure contro i progetti di nuovi impianti, con un aumento del 5% di contenziosi locali rispetto al 2015.

I dati del nuovo rapporto sono presentati oggi dall’Osservatorio Nimby Forum, il “termometro” che dal 2004 misura quella particolare forma di irritabilità sociale i cui sintomi si esprimono con l’opposizione alla realizzazione di progetti.

Nimby è una sigla inglese, not in my backyard (non nel mio cortile), che si declina anche con altri acronimi come Nimto, not in my turn of office (non durante il mio mandato), fino alla spiritosa sigla che descrive l’estremismo del no a tutto dovunque, cioè Banana (Build absolutely nothing anywhere near anything). Ne emerge un Paese bloccato, in cui le opposizioni di comitati, partiti ed enti pubblici fanno da eco puntuale a ogni iniziativa e generano usura nei media, nella rete web e nelle cancellerie dei Tar.

Che temperatura sociale indica il nuovo rapporto dell’Osservatorio Nimby? Dice che in Italia nel 2016 il comparto energetico (56,7%) e i rifiuti (37,4%) si contendano il podio dei no.

Ma (attenzione!) il 75,4% dei no agli impianti energetici riguarda le fonti rinnovabili di energia, cioè sono contestati proprio quegli impianti che venivano invocati come soluzione ideale.

Il motivo con cui i comitati dicono di opposi è in genere rivestito da una miscela di aromi ambientali (30,1% delle contestazioni), di toni paesaggistici («quest’opera devasterà il nostro bel territorio») oppure di paure per la salute; il più delle volte questi motivi sono conditi con dosi importanti di fake news, distonie cognitive, bufale e sbagli inconsapevoli. Ma cresce al tempo stesso anche l’amore per il proprio paese e la richiesta dei cittadini di essere più coinvolti nel processo decisionale (il 14,6% nel 2014, il 18,6% nel 2015, il 21,3% nel 2016). «A disarmare questa consapevolezza è, tuttavia, il meccanismo dei social media, che mescola informazione e disinformazione, scienza e opinione, verità e post-verità», commenta Alessandro Beulcke, presidente di Allea e promotore del Nimby Forum.

Ecco un ingrandimento dell’immagine sul settore dell’energia. Le tipologie di impianto energetico più avversate sono le centrali elettriche a biomasse che usano come combustibile legna o vegetali (43 impianti) e le centrali eoliche (13 casi di contestazione).

Tra le fonti di energia convenzionale, i più contestati sono le ricerche di giacimenti di metano o petrolio oppure lo scavo dei pozzi. Un caso di risonanza sono ne contestazioni contro il Tap, il gasdotto che dall’Azerbaigian approderà il Puglia.

Uno sguardo alle contestazioni nel segmento dei rifiuti. Mentre tutti invocano (a parole) il riciclo dei rifiuti e la cosiddetta “green economy”, poi quando si tratta di passare ai fatti per dire no vengono invocati motivi ambientali o sanitari. No agli impianti di riciclo, no al riuso di rifiuti per produrre energia (37 casi censiti), no alle discariche (30), no agli impianti di compostaggio per produrre concime dai rifiuti organici(20).

I politici di valenza locale sono i primi promotori delle contestazioni: enti locali e partiti sono all’origine del 50% dei casi di contestazione censiti e scavalcano il 30% di casi mossi dai comitati di cittadini.

Circa un terzo delle contestazioni va a ingolfare gli uffici giudiziari tra ricorsi al Tar e appelli al Consiglio di Stato.

Sono più litigiosi i meridionali o i settentrionali? Il censimento presentato oggi dal Nimby Forum dice che il “no” ricorre con maggiore frequenza (41%) in Alta Italia dove Lombardia ed Emilia Romagna sono in testa con 56 e 48 impianti contestati, ma in rapporto alle dimensioni e al numero totale di progetti la Basilicata è la zona più suscettibile con 32 impianti contestati (erano 6 nel 2014), assai più del Lazio (30), Veneto (28) e Sicilia (26 casi censiti).

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