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Dossier Lavorare con l’algoritmo: ecco la fabbrica che verrà

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    Dossier | N. 4 articoliL'algoritmo in azienda. Come cambia il lavoro

    Lavorare con l’algoritmo: ecco la fabbrica che verrà

    (Epa)
    (Epa)

    È una goccia, per ora, ma sta scavando a poco a poco nei meandri delle relazioni sindacali. Senza che nessuno scienziato si offenda per la semplificazione, la goccia si chiama algoritmo. Le app nate per la consegna delle pizze e gli scanner sono solo la punta di un iceberg che a poco a poco si sta scoprendo. Le società della new economy non fanno mistero di aver mutuato dall’industria tutta una serie di metodologie di lavorazione per efficientare il processo continuamente. E proprio lì, queste metodologie, ripensate attraverso l’informatica e le nuove tecnologie, stanno ritornando. Sotto forma di robot o di smartwatch.

    Semplificando e, aiutati da un paio di esempi, vediamo dove si usa e come funziona quella che, in casa Cgil, definiscono la versione 4.0 del capo del personale. Prima un salto nel mondo Amazon e poi un altro in quello di Foodora. All’industria in senso stretto sarà riservata una riflessione a parte. Due mondi diversi, due settori diversi che però ci aprono la porta del mondo della disintermediazione del rapporto di lavoro. E della rivoluzione silenziosa nella relazione tra azienda e sindacato. Una relazione dove le piattaforme rivendicative all’antica maniera, per le imprese, non funzionano più: Amazon non ha nemmeno preso in considerazione quella che gli era stata presentata da Filcams, Fisascat e Uiltucs per l’integrativo dei lavoratori con il contratto del commercio.

    Andiamo. Nel mondo di Amazon troviamo i picker e i runner, in quello di Foodora i rider. Tutti anglicismi, la derivazione di queste nuove professioni è a stelle e strisce, ma la quotidianità ci mostra che le implicazioni sono anche tricolori. E con potenzialità altissime. Chi sono e cosa fanno i picker e i runner, chiediamo a un manager delle operations di Amazon. La risposta non è diretta e il nostro manager parte dal cliente finale: è lui che genera il lavoro. Immaginiamo che il nostro cliente ordini dei bicchieri. Entriamo nel polo logistico di Castel Sangiovanni, in provincia di Piacenza, dove attualmente sono al lavoro 1.600 lavoratori diretti e 2mila lavoratori in somministrazione che sono stati ingaggiati per il periodo tra settembre e dicembre per far fronte al picco natalizio. È lunedì mattina, sono le 8, arriva il primo camion, attracca e il suo carico viene scaricato nelle baie. È già in questo stadio che entra in azione lo scanner, un dispositivo che, tanto per intenderci, ha la forma delle comuni pistole usate nelle casse dei supermercati. Ogni addetto è praticamente associato a uno scanner che rileva tutto il suo lavoro e in qualche modo lo guida nella sua esecuzione, attraverso un algoritmo che si basa su parametri definiti dall’azienda e che sono coperti dal cosiddetto segreto industriale. L’obiettivo qual è? Far sì che il lavoro sia più produttivo e svolto in economia. Ma anche secondo ritmi piuttosto serrati, certamente più dettati dal software che non dall’uomo.

    È arrivata l’ora di pranzo, dunque lasciamo picker e runner, che percorrono fino a una mezza maratona a turno, ed entriamo nel mondo di Foodora e dei suoi rider. Qui una app ci consente di ordinare il nostro pranzo che ci verrà consegnato nel più breve tempo possibile. Come funziona la app? Una volta ricevuto l’ordine, inoltra la richiesta di consegna al rider più vicino al ristorante che, seguendo un percorso predefinito o che lui stesso decide, potrà consegnare il pranzo nel più breve tempo possibile. La piattaforma digitale consente l’incontro diretto tra domanda e offerta di lavoro e soprattutto svolge un compito di coordinamento tra la prestazione lavorativa e il resto dell’organizzazione. Ma chi sono i rider e quale contratto hanno? I rider, ci spiegano da Foodora, sono soprattutto giovani: la loro età media è di 24/25 anni. Sono alla ricerca di un lavoro flessibile per tempo e impegno e Foodora dà ai rider la possibilità di lavorare secondo le loro esigenze. A sua volta ha un’organizzazione molto flessibile in modo da poter modulare il lavoro in funzione della domanda. I contratti, in Italia, sono contratti di collaborazione coordinata e continuativa che contemplano anche un’assicurazione integrativa in caso di danni a terzi causati dai rider. Il compenso? 4 euro a consegna. A proposito: se un rider non accetta di svolgere la consegna? Il solito algoritmo consente di individuare gli altri rider più vicini al ristorante dove ritirare il nostro pranzo e poi svolgere la consegna seguendo un percorso che sarà il rider a scegliere. Si può sapere qualcosa di più su questo algoritmo? Naturalmente no, c’è il segreto industriale.

    Come si è detto nella premessa stiamo parlando di organizzazioni diverse, molto diverse ma dove la flessibilità estrema è uno dei punti di forza. Anche dal punto di vista contrattuale. Non è un caso che a Castel Sangiovanni i lavoratori in somministrazione superino quelli diretti e che quelli di Foodora siano tutti collaboratori. Ma torniamo all’algoritmo che per il sindacato sta diventando un cruccio dilagante perché è evidente che le sue potenzialità sono altissime in quanto i comparti interessati non sono solo la logistica o il commercio.

    «L’algoritmo non può essere considerato una semplice macchina, uno strumento di lavoro. È un elemento dalle potenzialità altissime, molte anche positive, si pensi a quali prospettive può aprire se applicato nella medicina predittiva o al monitoraggio ambientale. Ma ci possiamo vedere anche una versione critica e molto sofisticata del capo del personale, un manager digitale - spiega Alessio Gramolati della Cgil -. Un management digitale che può esercitare il controllo dei lavoratori attraverso RFID, GPS, IPcam, software e algoritmi spioni. Una sorveglianza senza frontiere che rischia di rompere il legame di fiducia tra datore di lavoro e impiegato e che ha il potere di destrutturare le relazioni sindacali e il rapporto tra azienda e lavoratore». La Cgil chiede che l’algoritmo, che si basa su parametri aziendali, venga condiviso con il sindacato. La Cisl ci tiene a precisare che per il momento la platea dei lavoratori interessati dall’algoritmo, in Italia, è ancora ristretta. C’è però una riflessione tra le parti sociali per evitare che si diffondano fenomeni di sfruttamento. Intanto va precisato che non servono nuove tipologie contrattuali, visto che il panorama contrattuale italiano è già abbastanza vasto, dice Roberto Benaglia. E poi il ministero del Lavoro recensisca le piattaforme digitali che devono essere sottoposte a controllo. Assolte queste premesse, c’è il lato politico della questione. L’algoritmo pone infatti un tema di reciprocità e di garanzia dei diritti e dei doveri, oltre che di privacy. Quindi? Che sia un algoritmo a gestire tempi e metodi di lavoro, nell’era dell’impresa 4.0, non è affatto scandaloso, secondo il segretario generale della Uil, Carmelo Barbagallo: «Il punto è che questa impostazione deve essere condivisa con e dai lavoratori attraverso la contrattazione tra le parti sociali. L’innovazione tecnologica deve fare il suo corso, ma la questione va ricondotta nell’alveo delle relazioni industriali e della contrattazione aziendale. Conviene anche alle imprese: è dimostrato, infatti, che la produttività aumenta con il benessere lavorativo e perché ciò accada occorre coinvolgere i lavoratori, mettendoli nelle migliori condizioni e non facendo loro subire le decisioni relative all’organizzazione del lavoro».

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