Il 2018 sarà l’anno del rinnovo del contratto dei 37mila bancari delle Bcc? Senza avere la lampada di Aladino, è evidente che la lunga storia di questo negoziato sta aprendo due scenari: il primo è che il contratto si rinnovi rapidamente, il secondo è che le Bcc saltino un ciclo negoziale e si vada verso una semplificazione e un contratto unico del credito Abi e Federcasse. Lo scorso settembre Federcasse ha tentato un affondo consegnando ai sindacati un protocollo (si veda il Sole 24 Ore del 5 settembre 2017) contenente le linee guida del rinnovo: «Abbiamo messo insieme due elementi, i contenuti di rinnovo del contratto che ripercorrono quelli del contratto Abi per la parte economico e normativa, e l’implementazione della riforma del credito cooperativo con la gestione delle eventuali eccedenze - spiega Marco Vernieri che guida la delegazione di Federcasse -. Quest’ultima è una parte congiunturale che dovrà servire per gestire questa fase straordinaria».
I sindacati, dopo aver manifestato molte riserve, hanno ritenuto di dover avviare un percorso assembleare per avere mandato a procedere. In attesa del compimento del lavoro unitario delle diverse sigle che hanno fatto o stanno ancora facendo le consultazioni, il segretario nazionale della Fabi, Luca Bertinotti dice che «il contratto rimane sempre alla portata ma nella misura in cui vi sia dignità ed equilibrio». Che vuol dire innanzitutto «riconoscere l’aumento di 85 euro a regime in ottobre del 2018, quando verrà riconosciuta l’ultima tranche del contratto Abi», continua Bertinotti. Il segretario nazionale della Fisac, Michele Cervone, a sua volta dice che «il rinnovo è un atto dovuto e necessario, ma deve portare a un contratto sostenibile per i lavoratori». In una fase straordinaria in cui il rinnovo si incrocia con il complesso percorso della riforma. «Dovrebbero camminare di pari passo con un confronto permanente - dice Cervone -. Aspettiamo da tempo i piani industriali delle capogruppo».
Il tema occupazione rimane sullo sfondo e il primo passo del 2018 dovrà essere proprio l’aggiornamento e la modernizzazione del Fondo di solidarietà su cui venne fatto un primo accordo nel 2013 a cui seguì un decreto ministeriale che, però, «rese il fondo più oneroso per le imprese e meno vantaggioso per i lavoratori rispetto a quello di Abi, rendendolo di fatto inutilizzabile per le uscite», dice Bertinotti. A giorni riprenderà il tavolo tecnico di lavoro e confronto tra Inps, Federcasse e sindacati, ma trovata un’intesa poi bisognerà attendere il decreto attuativo.
Intanto, però, sul territorio, le aggregazioni hanno portato a piccoli accordi di razionalizzazione (il maggiore in Iccrea con un centinaio di esodi) con poco più di 200 uscite. Da notare che la penultima legge di bilancio aveva previsto un sostegno a favore delle uscite nel credito ordinario e cooperativo che per il 2017 avrebbe offerto una quota di sostegno pari all’85%, che nel 2018 si ridurrà al 50% e nel 2019 si vedrà. Se il credito cooperativo non avesse eccedenze di personale, la circostanza di non aver fatto piani di esodo nel 2017, quando il contributo pubblico era più alto, sarebbe irrilevante. Ma non è così. «Con la fase di implementazione della riforma del credito cooperativo dovranno essere gestite eventuali eccedenze la cui parte più importante interesserà quest’anno e il prossimo», spiega Vernieri. «È passato un anno dall’introduzione dei contributi in favore delle banche per la gestione degli esuberi e nessun piano organico è stato presentato da Federcasse per poterne usufruire», ricorda Cervone. In altre parole significa che il credito cooperativo ha “rinunciato” ai contributi dell’anno in cui il sostegno era più alto.
«Il nostro obiettivo - dice però Vernieri - non è ridurre a tutti i costi l’occupazione, siamo l’unico settore economico che ha continuato a sostenerla, ma abbiamo bisogno di rivedere i livelli occupazionali, di favorire il turn over per fare entrare giovani e di investire sulla riqualificazione delle persone». La riforma vedrà nascere due gruppi nazionali e «proprio il fatto che i gruppi siano nazionali porterà a mantenere un presidio di filiali diffuso sul territorio. Dovremo però investire nella loro riorganizzazione e quindi in asset management, filiali private e centri imprese. Questo potrebbe portare a una riqualificazione degli attuali sportelli per specializzarli», continua Vernieri. Una prima valutazione, basata sull’incrocio di età anagrafica e anzianità porta a stimare in 7mila le persone con i requisiti per andare sul Fondo di solidarietà fino al 2026 (considerando come ultimo anno di ingresso il 2019 e una durata di 7 anni). Le eventuali eccedenze della riorganizzazione non dovrebbero però superare la metà del bacino potenziale.
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