Il mercato c’è, ed è sempre più affamato. L’alluminio italiano si prepara a ritornare e gli operatori del settore sono pronti ad acquistare. A patto, però, che il prodotto sia venduto a un prezzo conveniente, e risponda a determinati standard qualitativi. Il trader svizzero SiderAlloys sta per perfezionare, dopo avere definito con Enel il contratto di fornitura di energia elettrica, l’acquisizione degli asset dell’ex Alcoa di Portovesme. Questo significa che dal sito sardo saranno sfornati i primi pani di alluminio primario dopo diversi anni di interruzione (lo stabilimento è inattivo ormai dal 2012).
Le intenzioni della società sono esplicitate nell’accordo di programma recentemente sottoscritto tra Mise, Regione Sardegna e Invitalia. Sideralloys stima di potere raggiungere la capacità produttiva massima entro 24 mesi dall’avvio dei lavori. La produzione a regime sarà di circa 150mila tonnellate all’anno, destinata per l’80% al mercato italiano, nei settori dell’automotive, delle costruzioni, dell’aerospaziale e del packaging. Il 20% di questa quota, confermano fonti vicine alla società, sarà verticalizzato in Italia dalla stessa SiderAlloys per la produzione di vergella. La quota residua sarà comprata da altri clienti: grazie alla propria expertise nel trading di metalli ferrosi - è esplicitato nell’accordo di programma - SiderAlloys possiede già un esteso network commerciale a livello italiano e internazionale in grado di recepire fin da subito le produzioni industriali provenienti dallo smelter di Portovesme. «In rapporto alla capacità di ricezione del mercato italiano - spiega un operatore -, la produzione sarda potrebbe incidere per circa il dieci per cento. Non dovrebbero esserci problemi di riassorbimento».
Un fattore competitivo potrebbe essere rappresentato dal fatto che l’alluminio prodotto in Italia eviterebbe il dazio del 6% attualmente gravante sui prodotti d’importazione all’interno dell’Ue. L’intenzione di SiderAlloys è puntare in particolare su alcune eccellenze della subfornitura automotive italiana e su altre nicchie di mercato che permettano di massimizzare i margini, ovviando alle difficoltà nel realizzare economie di scala con un solo stabilimento.
Tra i clienti, secondo indiscrezioni, sarebbero già stati avviati contatti con Officine meccaniche rezzatesi e con Brembo, entrambi fornitori di Ferrari e di altre case automobilistiche della fascia premium, oltre che con altri player del comparto, anche se nessuno conferma esplicitamente di avere già concluso accordi commerciali.
«Sono interessato all’alluminio italiano nel momento in cui lo smelter sarà in grado di produrre - spiega Marco Bonometti, leader di Omr -. La mia azienda consuma circa 80mila tonnellate all’anno di alluminio primario. Non c’è nulla di male a privilegiare una fornitura italiana ad una straniera, a patto che i nuovi produttori siano in grado di garantire a chi acquista un prezzo competitivo».
Anche per Vito Germinario, ad di Metra, leader nei grandi estrusi in alluminio per ferroviario ed edilizia, l’investimento di Sider Alloys in Italia «è in generale un fatto positivo. In un mercato caratterizzato da un’alta concentrazione nell’offerta si tratta di un interlocutore in più, maggiore competitività». Nel dettaglio, però, gli interrogativi sono gli stessi posti da Bonometti e da altri operatori di taglia minore. Il tema sono le condizioni di mercato. «La vera sfida - spiega - è capire se uno smelter italiano possa essere davvero competitivo, anche se qualche vantaggio logistico nella localizzazione può esserci. Resta da capire, poi, la qualità: quali diametri? quali leghe? sono aspetti importanti, soprattutto per le produzioni con determinate caratteristiche, come nel caso del ferroviario». Gli interlocutori di Metra, che consuma circa 50mila tonnellate all’anno, sono alcuni tra i principali player mondiali: Hydro, Rio Tinto, Glencore e Dubal. «Tutti abbiamo almeno 4-5 fornitori - aggiunge Germinario -: i contratti sono trimestrali, oppure ci sono accordi di long term».
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