Economia

Un mese di stipendio in meno all’anno, il gap di chi lavora al Sud

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le due italie del lavoro

Un mese di stipendio in meno all’anno, il gap di chi lavora al Sud

Avere vent’anni e averli vissuti tutti a Bari dalla nascita al nido, alla scuola materna alle elementari via via fino all’università, può far scatenare una voglia di scappare irrefrenabile. Bari, forse, potrebbe essere qualsiasi altra città del Sud, ma il nostro dialogo, una sera, a cena, con Federica M., è cominciato lì. Federica è iscritta al secondo anno di università a Bari, ma alla sua città non vuole concedere nemmeno il tempo di laurearsi: la specialistica vorrebbe farla al Politecnico di Milano, in quel nord in pieno fermento dove vede il suo futuro. Le sue ragioni, sicuramente, vanno ascoltate e capite.

Come non capire una ragazza che è nata e cresciuta in una famiglia monoreddito, dove però entrambi i genitori sono laureati e oggi pensa che, dopo aver studiato così a lungo, la sua città potrà offrirle poche possibilità. E spostarsi per spostarsi tanto vale andarsene dal Sud, dove è vero che i segnali di ripresa non mancano (si veda l’ultimo rapporto Svimez), ma si assiste a un downgrading delle occupazioni, all’esplosione del part time involontario e a un’espansione delle retribuzioni decisamente moderata, nella migliore delle ipotesi.

«Se prendiamo la categoria di operai e impiegati, tra nord e sud salta almeno una mensilità», come spiega Simonetta Cavasin, amministratore delegato di Od&M consulting (società di Gi group specializzata in hr consulting) che ha analizzato 480mila buste paga tra il primo luglio 2016 e il 30 giugno 2017. Per gli impiegati la retribuzione totale annua è del 16,5% più alta al nord ovest che al sud e nelle isole: nel primo caso parliamo di una media osservata di 32.068 euro, nel secondo di 27.526. Per gli operai il gap si riduce un po’ e la differenza è del 9,6%: al sud è stata rilevata una busta paga di 24.838 euro contro i 27.217 del nord ovest. Con industria 4.0 questo gap, in futuro, sembra però destinato ad aumentare sempre di più. (si veda altro pezzo in pagina).

Ciò che caratterizza la ripresa del Sud è la crescita dei lavoratori a bassa retribuzione, come ha messo in evidenza lo stesso Svimez (si veda anche altro pezzo in pagina sul caso della moda). La crisi ha fatto perdere più posti di lavoro nel Mezzogiorno ma ha anche abbassato le retribuzioni di fatto pro capite, evidenziando le maggiori difficoltà delle imprese meridionali in un contesto di crescenti tensioni competitive. Federica sarà, lo speriamo per lei, una giovane di successo, diventerà un ingegnere, ha la determinazione di chi vuole crescere e specializzarsi, e dopo 5 o 6 anni di faticosissimi studi non vuole rimanere in un’area del paese dove si assiste a un depauperamento del capitale umano. Così, a patto di trovare un accordo con la sua famiglia monoreddito, sembra destinata a fare parte di quell’emigrazione continua di risorse al Nord. Non che in Puglia non ci siano esempi di eccellenza, ma sono pochi, come osserva lo stesso papà di Federica, informatico, che vede in prospettiva anni di sacrifici per mantenere gli studi della figlia a Milano. Ma al tempo stesso vorrebbe offrirle l’opportunità di mettersi in gioco. È partendo da queste riflessioni che negli ultimi 15 anni sono emigrati dal sud 1,7 milioni di persone, a fronte di un milione di rientri, con una perdita netta di 716mila unità: i tre quarti (72,8%), secondo quanto riporta lo Svimez, sono ragazzi tra i 15 e i 34 anni e laureati che rappresentano un terzo del totale (198mila).

Se la specializzazione è un aspetto fondamentale nella determinazione della busta paga di operai e impiegati, ce ne sono anche molti altri di cui tenere conto quando si cerca di dare una spiegazione del perché le buste paga sono diverse al nord e al sud. Una prima considerazione generale riguarda il mercato del lavoro. Roberto Benaglia, oggi responsabile dell’osservatorio Ocsel della Cisl, ma in passato alla guida della Cisl in Lombardia, osserva che «i mercati del lavoro sono molto diversi e al sud, alle buste paga manca sicuramente la spinta del mercato: se un operaio ha un posto di lavoro è quello, non c’è, se non in misura molto limitata, la ricerca di un altro posto, anche perché la domanda è molto limitata. Al nord, almeno da un anno, dai territori, ci dicono che si assiste a un certo dinamismo e al fatto che i lavoratori che hanno esperienza e specializzazione si spostano e, spostandosi, riescono a negoziare condizioni decisamente migliori».

L’altro importante fattore che ha un impatto sulle buste paga è poi il dumping contrattuale. I contratti nazionali di lavoro sono oltre 800 e per ogni settore se ne trovano innumerevoli. Non sono tutti uguali e abbiamo visto che ce ne sono alcuni che prevedono minimi addirittura dimezzati (si veda l’inchiesta sui façonisti pubblicata sabato 3 marzo), mentre la mancata presenza del sindacato all’interno dei laboratori non consente di controllare il rispetto della normativa su orari, straordinari, ferie, malattia. Infine un altro fattore di cui tenere conto è senza dubbio la contrattazione di secondo livello che, come spiega Benaglia, «ha un impatto sulla busta paga e che oggi interessa il 40% degli addetti di aziende con oltre 20 dipendenti», ma ha una diversa distribuzione geografica. Secondo la tavola sulla distribuzione geografica dell’Ocsel, i premi di risultato sono per il 70% al nord, per il 14% al centro, per il 3% al sud e nelle isole, mentre per il 13% di gruppo. Secondo l’analisi fatta da Od&m l’incidenza è variabile e qui entra in gioco soprattutto il tema della produttività, che è molto variabile da impresa a impresa, ma in media stiamo parlando di meno della metà di una mensilità.

C’è una stretta correlazione tra dualismo territoriale dell’economia italiana e distribuzione diseguale del reddito ma ci sono anche, come detto, una serie di fattori che stanno ampliando la distanza. La distribuzione dei redditi è strutturalmente diversa nelle due ripartizioni del paese e non ci si può stupire davanti a una ragazza giovane che è alle prese con il mito di Milano dove in 10 anni è venuta tre volte e ha visto altrettante città diverse, mentre a Bari vive da 20 anni e vede sempre, più o meno, la stessa città. Con prospettive di reddito e di qualità della vita che non attirano.

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