Economia

Due imprese su tre fuori dal mondo digitale

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RAPPORTO COMPETITIVITÀ ISTAT

Due imprese su tre fuori dal mondo digitale

Il mondo digitale? Indifferente. Un guaio avere questo approccio, che non proviene da un gruppo di adolescenti refrattari ai social network (nel caso, ci sarebbero anche valenze positive) ma dalle nostre imprese, purtroppo dalla maggioranza. Il 63% realizza infatti nell’ambito Ict investimenti irrilevanti. E, forse non a caso, questo cluster è composto da aziende poco produttive e scarsamente efficienti, mediamente di dimensioni ridotte, inserite nei settori produttivi più tradizionali.

A tracciarne il profilo è l’edizione 2018 del rapporto sulla competitività dei settori produttivi realizzato dall’Istat, analisi granulare sulla struttura, performance e dinamica del sistema produttivo italiano, arrivata alla sesta edizione.

Un rapporto che descrive un sistema chiaramente (e finalmente) in transizione, con evidenti segnali di riscossa dal lato degli investimenti grazie anche al successo del piano Industria 4.0, elementi positivi che si contrappongono però a lacune ancora evidenti. Anche se la risalita rispetto al biennio precedente è netta, il rapporto evidenzia infatti un ritmo di accumulazione del capitale modesto rispetto ai maggiori paesi europei, con ritardi soprattutto negli investimenti in beni immateriali.: come risultato, la quota di investimenti fissi lordi in rapporto al Pil è più bassa della media dell’Unione (gap di 3,1 punti) e il divario tende ad allargarsi.

Ritardi che riguardano anche l’area digitale, dove l’Italia sconta un divario rilevante ad esempio nell’uso del web e nella velocità di connessione ad internet.

L’approccio al mondo digitale

Un quadro che si ritrova fedelmente nella scomposizione del campione di aziende per propensione alla digitalizzazione, con due terzi delle imprese oltre i dieci addetti a ritenere poco rilevante l’Ict nella propria attività. “Indifferenti”, nella definizione Istat, a cui si contrappone una pattuglia purtroppo ridotta di aziende digitali “compiute” (elevato capitale fisico e umano, alta digitalizzazione e produttività) pari ad appena il 3% del totale, 5400 in tutto.

A mezzavia le posizioni intermedie, le aree più promettenti in prospettiva. Aziende “sensibili” al tema (18mila), ad alta patrimonializzazione, impegnate ad investire in capitale umano, inserite più spesso nelle filiere di bevande, elettronica, informatica, audiovisivi. Modificare queste medie è cruciale non solo in termini di produttività ed efficienza ma anche in funzione della creazione di nuova occupazione: l’analisi Istat evidenzia infatti come nel biennio 2016-2017 le imprese più propense a digitalizzare abbiano creato in media più posti di lavoro ricomponendo inoltre l’assetto a vantaggio delle figure più qualificate. In media un’impresa su due qui ha aumentato le posizioni lavorative almeno del 3,5%, un valore cinque volte superiore rispetto alla categoria delle aziende “indifferenti”. In tema di posti di lavoro, è poi visibile attraverso i dati Istat l’impatto del Jobs Act: le imprese che hanno utilizzato il contratto a tutele crescenti (analisi per il biennio 2015-2016) hanno incrementato il personale in misura superiore (19,5%) rispetto a chi ha effettuato assunzioni utilizzando contratti diversi. Esempio: se un’azienda “no Jobs Act” ha creato dieci posti, chi ha sfruttato le nuove possibilità ha assunto invece 12 persone.

I segnali di transizione verso l’alto sono comunque evidenti, a cominciare dalla propensione ad investire. Il 67% delle imprese dichiara infatti di averlo fatto nel corso del 2017. Rilevante sotto questo aspetto l’impatto dell’apparato di incentivazione varato dal Governo. Il superammortamento, la misura più consolidata e quindi più conosciuta, ha svolto un ruolo molto o abbastanza rilevante nelle scelte di investimento per il 62,1% del campione, il 47,6% lo pensa per l’iperammortamento, il 40,8% per il credito d’imposta su ricerca e sviluppo. Nuovi percorsi di crescita che hanno anche contribuito a spingere verso l’alto la propensione innovativa calcolata dall’Istat, salita di quattro punti rispetto alla precedente rilevazione. Resta tuttavia rilevante il gap dimensionale, perché se è vero che ad aver investito sono quasi sette aziende su dieci, la percentuale crolla al 42% per le Pmi.

Ciclo di investimenti che comunque proseguirà anche nel 2018, con quasi la metà del campione a prevedere nuovi impegni in software. il 31,9% in tecnologie di comunicazione, il 27% in connessioni ad alta velocità.

Nelle simulazioni Istat, l’impatto delle misure di incentivazione dovrebbe produrre a livello globale per il Paese un aumento dello 0,1% degli investimenti totali sia nell’anno in corso che nel 2019, grazie ad una dinamica più sostenuta nei macchinari (+0,1% nel 2018, +0,2% nel 2019) e nella proprietà intellettuale (+0,8% nel 2018, + 0,6% nel 2019).

Le premesse per procedere nella direzione della crescita paiono dunque esserci, tenendo anche conto che con riferimento al 2018 i giudizi su ordini e domanda sono in netto miglioramento rispetto all’anno precedente, e questo in presenza di un tasso di utilizzo della capacità produttiva valutato ai massimi dal 2000.

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