La lettura della classifica 2017 dei fatturati delle imprese dell’arredo conferma un refrain in voga da anni: la vivacità di breve periodo unita alla debolezza strutturale del settore. La vivacità è presto detta: delle prime quindici imprese solo due, proprio la prima e la quindicesima, Natuzzi e Estel, fanno segnare un lieve calo di fatturato. Le altre tredici registrano una crescita, anche sostenuta: dal 22% di PoltroneSofà al 16% di B&B Italia al 15% di Minotti e Stosa. Segnali di vitalità di imprese che facendo leva su aspetti diversi di competitività guadagnano quote di mercato in Italia e all'estero e sostengono la crescita complessiva del settore.
La debolezza strutturale del sistema LegnoArredo italiano è invece nei dati di fatturato delle singole imprese. Niente di nuovo sotto il sole, la situazione è consolidata da anni, ma l’impresa italiana leader per ricavi, Natuzzi, si ferma a 450 milioni di euro. Seguono Poltrona Frau a 337, PoltroneSofà a 335, Molteni a 309. Poi si precipita ai 215 di Scavolini, ai 212 di B&B e via scalando fino a 106 di Estel. Per terminare la messe di numeri: solo una ventina di imprese hanno un fatturato superiore ai cento milioni di euro e, lontano dalle classifiche e dai riflettori, poche decine sono quelle che superano i 50 milioni di ricavi, con il fatturato medio che è intorno ai 2,5 milioni di euro. Absit iniuria verbis, un sistema ancora malato di nanismo e fondato sull’artigianato, magari d’ingegno e ad alto valore aggiunto. Nonostante un decennio di crisi abbia falcidiato il 20% delle imprese, soprattutto le micro.
Da anni, analisti, banche d'affari e fondi d'investimento auspicano un consolidamento del settore. Le tesi sono note e gli esempi comparativo-competitivi con gli altri comparti produttivi e gli altri Paesi altrettanto. Si guarda d’istinto alla moda e all’alimentare, alle dimensioni ben maggiori delle imprese italiane di quei settori che, in ogni caso, sono piccola cosa rispetto alle due super-holding del lusso francese, Lvmh e Kering, che inglobano appunto grandi marchi della moda, del food e del design.
L’Italia è ben lontana da quello scenario. Le imprese della moda sono saldamente controllate dalle famiglie degli stilisti, quelle dell’arredo navigano tranquillamente nella loro dimensione medio-piccola. Un imprenditore del settore arredo, in un convegno a porte chiuse su Industria 4.0, ha paragonato le imprese del design a lussuosi yacht che non sentono la necessità di affrontare il mare aperto e non vogliono trasformarsi in transatlantici. Basta navigare sottocosta a velocità di crociera.
Pochi, però, alla lunga potranno permettersi di continuare a essere boutique del design. L’allargamento dei mercati e, soprattutto l'apertura della Cina (dove è previsto un raddoppio delle vendite in pochi anni) necessiteranno di organizzazioni logistiche e commerciali incompatibili con le piccole dimensioni. Serve uno sforzo di sistema in cui si guardi al capannone accanto come a un potenziale alleato e non esclusivamente come a un competitor. La finanza, i fondi, la Borsa, fusioni e acquisizioni sono tutte strade esplorate dal settore ma ancora troppo timidamente.
Le ultime operazioni in ordine di tempo sono l’ingresso di Davide Groppi in Italian Design Brands e l’acquisizione da parte di Calligaris dell'85% di Ditre. Più indietro negli anni Boffi che acquisisce De Padova, Tecno che rileva Zanotta, Investindustrial che acquisisce la maggioranza di Flos e B&B Italia con altre acquisizioni minori a cascata. Il Fondo Progressio che acquisisce Giorgetti. Fino a tornare al colosso americano Haworth, specializzato nella produzione di ambienti di lavoro, che nel 2014 ha acquisito la maggioranza di Poltrona Frau Group con i marchi Poltrona Frau, Cassina e Cappellini. L’operazione che sembrava aver dato la stura al settore e che invece è rimasta l’unica con valori importanti. Qualcosa si è mosso e continua a muoversi. Ancora poco, però, per dare vita alle operazioni con la massa critica necessaria per rendere il sistema più solido e competitivo.
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