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Pesticidi: la ricerca corre, la burocrazia Ue frena.

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sicurezza agroalimentare

Pesticidi: la ricerca corre, la burocrazia Ue frena.

«Sa quanto impiega Bruxelles per approvare la registrazione di un pesticida? Dieci anni. Se poi è biologico, cioè non chimico – sono quelli di nuova frontiera – almeno cinque. Ma ora che arriva sul mercato è già vecchio. Intanto la ricerca è andata avanti e le soluzioni più innovative si rimettono in fila per le pratiche. I parassiti delle piante si fanno più aggressivi e noi li contrastiamo con strumenti che sono sempre un passo indietro». Per Ramon Albajes, docente di Entomologia all’Università di Lleida, la capacità competitiva dell’agricoltura Ue dipende anche dalle “munizioni” che si dà per difendersi.

Il rischio di importare, via cargo, parassiti delle piante in grado di mettere in ginocchio l’agricoltura è un rischio più frequente e pericoloso che in passato. Ne è un esempio, la Xylella, in Puglia, che dal 2015 sta disseccando gli ulivi. In Corsica è stata contenuta, come alle Baleari. Qualche focolaio resiste in Costa Azzurra e Spagna del Sud. In Puglia ha proliferato.

«Con la Decisione di esecuzione 789/2015– spiegano alcuni tecnici della Commissione che seguono questi dossier – è stato messo nero su bianco un protocollo d’azione europeo, applicabile a tutti i Paesi per il problema Xylella». Però, nella pratica, devono intervenire le autorità nazionali, con i loro tempi, e nel caso italiano, se la decisione Ue contrasta con una legge nazionale o regionale (come nel caso pugliese) si può aprire una querelle che dura anni. Da noi, poi, si è messo di mezzo anche il Tar.

Più strumenti per rispondere con tempestività alle emergenze, tempi più veloci per poter mettere in commercio pesticidi non chimici e soluzioni “amiche dell’ambiente”. Ma anche più incentivi per formare gli agricoltori a conoscere e portare nei propri campi nuove tecnologie di prevenzione e “salute” delle piante.

È quanto hanno chiesto, pochi giorni fa, a Commissione e Parlamento europei, ricercatori, aziende e istituzioni, provenienti da tutti i Paesi, nell’incontro organizzato – a Bruxelles – da Agroinnova, il centro ricerca dell’Università di Torino. Agroinnova - con 60 ricercatori, 15 progetti di ricerca all’anno e 3 milioni tra fondi pubblici e privati - si occupa di biosicurezza. Cioè va a caccia di spore e studia soluzioni per limitare il più possibile i danni sui raccolti.
È capofila del progetto europeo Emphasis – 4 anni e 7 milioni di Fondi Ue finanziati dal programma Horizon 2020 – per prevenire e aggredire parassiti autoctoni e ”stranieri” (insetti parassiti, patogeni, erbacce). Ma anche partner di Euclid – anch’esso un progetto Ue quadriennale da 3 milioni sotto il “cappello” di Hprizon 2020 – per aiutare l'agricoltura cinese a sviluppare una produzione sostenibile (anche a tutela dei pomodori orientali che poi arrivano sulle nostre tavole) .

«Se l’Europa, da un lato – ha dichiarato Maria Lodovica Gullino, direttore di Agroinnova – ha capito da diversi anni quanto sia importante creare le condizioni per un’azione coordinata a livello internazionale per rispondere a minacce sempre più frequenti e pericolose per le nostre colture – che in prospettiva entro il 2050 dovranno provvedere a sfamare 9 miliardi di persone –, dall’altro ha bisogno di regole nuove, più snelle, per mettere a terra i risultati delle ricerche e trasferirli alle imprese. Non è un caso che sia sempre più rilevante il numero di aziende private partner di progetti europei, come nel caso di Emphasis e Euclid. Su questo tema da sempre Agroinnova è impegnata in prima linea, per trasferire tecnologie utili al mondo produttivo e siamo orgogliosi di poter portare il nostro contributo di esperienza, maturata in oltre 15 anni di lavoro, per fare in modo che il sistema agricolo del nostro pianeta possa essere sempre più sicuro».

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