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Nell’era di Foodora e Deliveroo McDonald’s è il sogno del posto fisso

Nel ristorante di via Torino a Milano Federica, il radiomicrofono nell’orecchio, sorride agli avventori e li aiuta a districarsi con i nuovi schermi touch per le ordinazioni. Alle superiori ha scelto l’indirizzo socio-sanitario, poi qualche anno fa è arrivata a McDonald’s e non se ne è più andata: «Mi hanno detto che mi faranno crescere», racconta. Lorenzo invece dà le direttive in cucina: studia, è al quinto anno di filosofia, e da altrettanto tempo si tiene stretto il suo contratto da 18 ore settimanali con cui si paga l’università. C’è Ayman Ibrahim, che a McDonald’s ha cominciato 16 anni fa dal gradino più basso e ora è diventato direttore. E c’è la giovane mamma che incontro negli spogliatoi, da tre anni a part-time «così di pomeriggio posso badare a mia figlia».

I tempi cambiano, i muri cadono. Michael Moore e Naomi Klein appartengono al passato. Nell’era di Foodora e dei rider pagati meno di 5 euro lordi a consegna, McDonald’s ha smesso di essere lo spauracchio dei no global e, ironia della sorte, incarna il sogno del posto fisso. Vuoi mettere 1.200 euro netti di paga base al mese, più le ferie, la malattia e la tredicesima?

Il nuovo store di via Torino a Milano, inaugurato ad aprile e costruito secondo lo stile cosmopolita in uso a Sidney e a Hong Kong, non è un caso isolato. «Negli ultimi anni il turnover si è abbassato notevolmente - racconta Mario Federico, amministratore delegato di McDonald’s Italia - per la crew, cioè il livello di inquadramento più basso, siamo intorno al 10% e al Sud è praticamente nullo». A McDonald’s la flessibilità degli orari è totale, si possono fare 10, 18, 20, 24 o 40 ore alla settimana, ma i contratti sono tutti in regola. E non potrebbe che essere così, con tutte le associazioni che da anni tengono d’occhio la multinazionale americana, dagli ambientalisti ai difensori dei diritti civili. Le polemiche non sono mancate quando i vertici di McDonald’s hanno firmato con il ministero dell’Istruzione l’accordo sull’alternanza scuola-lavoro, qualcuno li ha accusati di sfruttare i giovani. «Quell’accordo l’abbiamo firmato in 16, se non ha funzionato non è colpa nostra, ma del modello in sé», si difende Federico.

Soprattutto, l’occupazione da McDonald’s aumenta: nel 2015 i dipendenti erano 17mila, oggi sono saliti a 20mila. Del resto gli affari vanno bene: «Nel 2017 - spiega l’ad - il nostro fatturato è cresciuto di oltre il 10% quando il giro d’affari del cosiddetto informal eating out, i pasti informali consumati fuori, è aumentato soltanto del 2 per cento». Una parte del merito è del modello Eotf, la sigla che a partire dalla fine del 2016, grazie all’innovazione tecnologica, ha rivoluzionato il modo di preparare i prodotti e di servire i clienti. Eotf è un sistema altamente digitalizzato e si basa sull’approccio on demand: tutto viene preparato solo al momento dell’ordine e in tempi rapidissimi. Ciascuno in cucina segue uno schermo e sa quale operazione compiere, chi cuoce l’hamburger e chi riempie il bicchiere. Il vassoio deve essere pronto in 3 minuti dall’ordine. Tutte le patatine che sono state fritte da più di 7 minuti, tutta la carne cotta da più di 14, devono essere buttate. Dietro le quinte, alla catena di montaggio è tutto un bip: dell’olio che va cambiato, del panino che è pronto, dell’hamburger che va girato. Il cliente? Ordina sullo schermo touch, personalizza il suo Big Mac fino all’ultima fettina di cetriolo, paga e si siede. Un segnaposto attrezzato di chip guiderà la hostess al posto giusto per la consegna del vassoio.

Il ristorante di via Torino a Milano è stato inaugurato ad aprile ed è Eotf-nativo. Ad oggi in Italia sono stati convertiti al digitale circa un’ottantina di punti vendita e altri 140 verranno trasformati nel corso del 2018. E se fosse l’innovazione tecnologica, a ridurre i posti di lavoro di Mc Donald’s? I manager assicurano che non è così, che la scomparsa dei cassieri è più che compensata dall’aumento delle hostess di sala. «Qui in via Torino siamo partiti con 50 persone, ma nei prossimi tre mesi dovrò assumerne altre 15», racconta Giacomo Bosia, il licenziatario del ristorante. Una storia americana, la sua. Ha cominciato 27 anni fa come banconiere da Burghy in piazza San Babila, poi si è messo in proprio. E da quando McDonald’s ha rilevato la catena, di ristorante in ristorante, è arrivato a 22 punti vendita e oggi è il più grande franchisee di McDonald’s in Italia.

La crew di Giacomo Bosio serve ogni giorno 2mila clienti. Di questi, il 7% ordina attraverso Glovo e Deliveroo. «McDonald’s non può mancare su queste app - spiega l’ad Federico - quelli a domicilio sono servizi che crescono a doppia cifra. Ma non abbiamo convenienza a fare noi il servizio». Coi tempi che corrono, questa convenienza non ce l’hanno nemmeno i lavoratori.

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