La vicenda di Bologna - con il tamponamento tra mezzi pesanti e la conseguente esplosione che ha provocato una vittima e la devastazione dell’area - ha sollevato il velo su un settore sotto gli occhi di tutti coloro che viaggiano su strade e autostrade, ma trascurato quanto a vigilanza sulla sicurezza e le condizioni di lavoro degli addetti. Soprattutto per quanto riguarda l’autotrasporto di merci pericolose su strada: questo comparto è regolato dall'accordo europeo “Adr”. Fu siglato nel 1957 e viene periodicamente aggiornato. Vi aderiscono anche paesi non appartenenti all'Unione Europea, in tutto una cinquantina. Prevede condizioni, limitazioni, obblighi, responsabilità e precise classificazioni dei carichi attraverso un unico sistema di etichettature.
Cosa prevede l’accordo Adr
Gli autisti di mezzi che trasportano merci in regime di “Adr” devono conseguire un'abilitazione particolare che va rinnovata
ogni 5 anni attraverso un corso di aggiornamento. I mezzi adibiti a questi carichi devono avere caratteristiche tecnico-strutturali
e particolari dotazioni di sicurezza. Oltre alle aziende di autotrasporto (in Italia sono circa 80mila, per la maggior parte
si tratta di imprese artigiane) questi carichi possono essere effettuati per “conto proprio”, come è il caso dell'autocisterna
che a Bologna ha tamponato il tir.
I dispositivi di sicurezza
Dal 1° novembre 2015 i mezzi di nuova immatricolazione devono montare obbligatoriamente due dispositivi di sicurezza. Lo ha
stabilito l'Unione Europea. Il primo si chiama Advanced Emergency Braking System (Aebs). Funziona così: un radar determina
la distanza dai veicoli, se questa si riduce, scattano automaticamente il rallentamento e la frenata di emergenza scongiurando
così il tamponamento. L'altra dotazione obbligatoria è il Lane Departure Warning System. Attraverso una telecamere che inquadra
la segnaletica orizzontale, il sistema avvisa il guidatore se il veicolo esce dalla corsia o ne invade un'altra.
Ne esistono due versioni. La prima si limita ad emettere un segnale acustico in cabina, la seconda provvede a correggere direttamente
la traiettoria del veicolo.
In Italia meno del 5 % dei veicoli dispone delle dotazioni obbligatorie sui mezzi nuovi dal 1° novembre 2015.
Un parco circolante ormai obsoleto
Il discorso vale per la sicurezza quanto per la sostenibilità ambientale. L'età media dei mezzi è tra le più alte d'Europa.
In particolare (secondo dati di Unrae, l'Unione dei costruttori esteri), quella dei veicoli di portata uguale o maggiore alle
16 tonnellate si attesa sugli 11 anni. Con il trend attuale occorrerebbero più di dieci anni per il rinnovo completo anche
se negli ultimi tempi le nuove immatricolazioni sono decisamente aumentate grazie ad una serie di incentivi agli investimenti
(tra questi il super ammortamento) decisi dal governo. Nel frattempo però il 64,8 % dei veicoli adibiti al trasporto di merci
appartiene alle classi Euro 0, I, II e III. Significa mezzi di gran lunga più inquinanti rispetto, per esempio, agli euro
6 le cui emissioni sono ridotte di 16 volte rispetto a quelle prodotte da un tir Euro 0.
Il trasporto delle merci
Secondo dati Eurostat, in Italia l'86,5 % delle merci viaggia su gomma, dieci punti percentuali in più rispetto alla media
europea. Il traffico via ferrovia è in ripresa, grazie anche all'avvento di nuovi operatori privati, ma la quota complessiva
non supera ancora il 7 %. Su questo fronte grava un pesante deficit infrastrutturale. Mancano raccordi, interporti, scali
ferroviari di interscambio. Le dimensioni delle gallerie impediscono il passaggio di treni con standard di efficienza “europei”,
quindi convogli più lunghi e più pesanti in grado di trasportare i nuovi mega trailer.
Il mercato dell'autotrasporto internazionale da tempo soffre di gravi squilibri indotti da quella che viene definita la concorrenza sleale praticata dai paesi dell'Est Europa. Questi vettori possono applicare tariffe particolarmente vantaggiose per la committenza grazie a costi di esercizio sensibilmente ridotti rispetto a quelli sostenuti dai paesi della “vecchia” Europa.
Concorrenza al ribasso tra autisti
In particolare il costo del lavoro e le condizioni in cui operano gli autisti determinano fenomeni di dumping sociale. In
Polonia, come in Romania o in Bulgaria una parte significativa del salario sfugge agli oneri contributivi e comunque i minimi
contrattuali risultano inferiori anche del 30 per cento rispetto all'Italia piuttosto che alla Francia. Gli autisti effettuano
il riposo lungo nelle cabine dei tir (come dimostrano gli accampamenti che si formano nelle aree di servizio autostradali
durante i fine settimana). Per non parlare poi del carico fiscale e del costo dei carburanti. La competizione quindi avviene
senza pari opportunità e talvolta senza neppure rispettare le regole, per esempio l'alternanza delle ore di guida e di riposo
previste dalle normative comunitarie.
I controlli sono blandi, la sicurezza è a rischio, la sfida è una corsa per tutti da affrontare entro i limiti di velocità. È stato calcolato poi che, mediamente, un autista dell'Est guida molto di più rispetto ad uno dell'Ovest. Secondo una ricerca francese, in un anno un lituano sta al volante 2.025 ore, un polacco poco meno di 2mila ore. Un italiano e un tedesco mediamente 1.800 ore. Ma, come si scriveva, costano di più in termini di retribuzioni, straordinari, oneri contributivi. È stato stimato il chilometraggio medio annuale di un autista internazionale, che varia dai 140.800 km della Bulgaria ai 107.449 km della Francia. L'Italia si posiziona al terzultimo posto, con 118.500 km.
Il fenomeno polacco
In questo panorama si inseriscono le pratiche di cabotaggio (la possibilità di un vettore di effettuare trasporti all'interno
di un paese straniero dove si è giunti per un servizio internazionale). Le attuali normative prevedono limiti di tempo e di
viaggi che vengono spesso elusi inquinando, ulteriormente il mercato. Non è un caso che in meno di dieci anni le imprese di
autotrasporto polacche abbiano raddoppiato il fatturato posizionandosi al primo posto nei servizi internazionali grazie alla
quota del 28%. Praticamente quasi un tir su tre, che viaggia in ambito comunitario, ha targa polacca. Trend più o meno analoghi
riguardano Repubblica Ceca, Romania Slovacchia, Bulgaria, Slovenia. Nel “Pacchetto Stradale”, in discussione al Parlamento
Europeo, il tentativo di trovare norme condivise per regolare il cabotaggio si è spiaggiato di fronte all'intransigenza dei
rappresentanti del blocco di Visegrad favoriti dall'attuale sistema, di fatto una vera e propria deregulation.
Autisti hi-tech
Un'altra emergenza che riguarda l'autotrasporto è determinata dalla carenza di autisti. Oggi condurre un tir è un lavoro ben
diverso dai modelli tradizionali, i mezzi sembrano astronavi con sistemi di organizzazione del lavoro digitalizzati. Occorre
una buona conoscenza tecnologica e, in parte, anche normativa. Ma, nonostante sia cambiato, il mestiere piace sempre poco
ai giovani. È stato calcolato che nei prossimi 5 anni in Italia sarà da colmare un fabbisogno di 20mila autisti, addirittura
180 mila in tutta Europa. Per avvicinare i giovani a questo mestiere l'Albo Nazionale degli autotrasportatori (in collaborazione
con le associazioni di categoria, dei costruttori e delle autoscuole) ha avviato una campagna che prevede l'abbattimento dei
costi per il conseguimento delle patenti e delle abilitazioni oltre a stage in azienda.
Dove cresce il traffico
Sul fronte dei flussi dei tir lungo le nostre strade, negli ultimi anni l'elaborazione dei dati forniti dalle concessionarie
autostradali rivela lo spostamento del traffico verso il Nord-Est, cioè dentro il cosiddetto nuovo triangolo industriale,
Milano-Bologna-Padova. Ogni giorno vi transitano 240mila mezzi pesanti contro i 148mila che viaggiano nel Nord Ovest. L'autostrada
più trafficata d'Italia è l'A-4 Brescia-Padova che registra 26.242 veicoli pesanti medi giornalieri. Seguono l'A-4 Milano-Brescia
con 24.699, il ratto dell'A-1 Milano-Bologna con 21.663, quello dell'A-1 Bologna-Firenze con 16.490, l'A14 Bologna-Ancona
con 15.069 e il Passante di Mestre con 13.829.
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