«Guardi, queste classifiche sono come le agenzie di rating: il loro giudizio può essere messo in discussione, ma alla fine conta». Pierdomenico Perata è rettore della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, il piccolo ateneo che “da sempre” guida le università italiane del World University Rankings del Times Higher Education (THE). Nell’edizione 2019 diffusa ieri la Scuola si conferma istituto italiano di punta, avanza di due posizioni assolute e si piazza alla 153esima posizione tra tutte le università del mondo.
Rettore Perata, qual è il vostro segreto?
Spendiamo bene i pochi soldi che abbiamo.
Pochi quanto?
Si stima che le università americane in cima al ranking, da Harvard a Yale, abbiano budget compresi tra 1 e 1,5 miliardi di
dollari all’anno. Sa qual è il budget complessivo che lo Stato italiano trasferisce alle università?
Quasi sette miliardi.
Esatto: 7 miliardi per 70 università. Vuol dire che i primi cinque atenei americani ricevono le risorse di tutte le università
italiane messe insieme.
Torniamo al vostro segreto...
Destiniamo meno del 50% del budget statale, 30 milioni, alla spesa per stipendi. La maggior parte delle risorse sono spese
per fare ricerca. Non è una cosa ovvia: in Italia ci sono atenei che destinano agli stipendi oltre il 90% del budget. Poco
o nulla alla ricerca.
Non sarete i migliori solo per una gestione oculata del budget…
No, certo. Curiamo molto il reclutamento di professori e ricercatori: cerchiamo i più qualificati e quelli che fanno più pubblicazioni,
che poi è uno degli indici misurati. Così produciamo buona ricerca e siamo in grado di attrarre risorse in modo autonomo.
Tutto questo ci porta a scalare le classifiche internazionali.
Un circolo virtuoso che si auto-alimenta?
A fronte di 30 milioni di finanziamenti statali, la Sant’Anna ogni anno se ne procura sul mercato altri 20, fornendo ricerca
alle imprese e attraendo fondi comunitari, statali e regionali per progetti di ricerca competitiva. Questa capacità attrattiva
era pre-esistente alle classifiche, ma dalle classifiche trae nuova linfa.
Immaginiamo, per assurdo, che la Sant’Anna scompaia dalle classifiche. Che cosa succederebbe?
Sarebbe un grosso problema. Perderemmo visibilità e capacità di attrarre fondi e clienti, soprattutto dall’estero. E quindi
verrebbe minata la nostra capacità di raccogliere risorse sul mercato: una peculiarità della Sant’Anna che, come le dicevo,
oggi porta nelle nostre casse 20 milioni di euro all’anno. Per un ateneo essere in queste classifiche è una sorta di pubblicità
gratuita: può fare la differenza. Non esserci riduce invece la possibilità di attirare nuovi investitori, quelli che ancora
non ci conoscono e che vengono da noi per la prima volta.
Che relazione avete con la rivista inglese che ha stilato la classifiche?
Nel nostro caso la relazione si limita alla fornitura dei dati richiesti.
Negli altri casi?
Questa società offre anche spazi pubblicitari a pagamento nelle sue riviste. Noi non abbiamo mai acquistato pubblicità né
pagato nulla. Lo considererei un conflitto di interessi.
Le risulta di università che invece acquistano questi spazi?
Sì, certo. Danno visibilità.
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