Economia

L’acqua Evian di Chiara Ferragni spiegata col marketing del desiderio

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Servizio |quando l’assenza fa crescere la domanda

L’acqua Evian di Chiara Ferragni spiegata col marketing del desiderio

La campagna è di un anno fa. Chiara Ferragni, fashion blogger, influencer tuttologica, già sposa branded content del rapper Fedez nell’unico matrimonio in cui, accanto ai testimoni, sedevano i testimonial, ha firmato una serie limitata di bottiglie di acqua Evian. Da 8 euro al pezzo. La campagna torna attuale grazie ai social, alle foto del prodotto in scaffale che fanno il giro del web e alle conseguenti polemiche. Più che nell’acqua - nel frattempo finita sold out - stiamo nuotando nella categoria del marketing dell’assenza. Che consiste nel far crescere la reputazione di un brand rendendo inaccessibili i suoi prodotti.

Alle origini del marketing dell’assenza
«Il marketing delle limited edition - spiega Mauro Ferraresi, docente di Sociologia dei consumi dello Iulm di Milano - come pure il marketing delle versioni personalizzate del prodotto, quello dell’attesa e quello della privazione sono tutti generi ascrivibili alla categoria più ampia del marketing dell’assenza, una via molto originale per stuzzicare il desiderio del consumatore». Nuova, ma non nuovissima: «La sua teorizzazione - continua Ferraresi - risale a Philip Kotler, padre del marketing moderno, ma i principi che lo animano sono riconducibili al dibattito in corso in America tra gli anni Trenta e Quaranta sui bisogni e i desideri».

Bisogni vs. desideri
L’assunto è noto: i bisogni sono pochi, i desideri infiniti e a questi ultimi il marketing deve puntare. Stimolandoli, trasformando il prodotto in vendita in oggetto aspirazionale, «non vendendo il prodotto - sottolinea il sociologo dei consumi - ma la marca che ne è l’identità». I primi settori a sperimentare queste strategie sono stati quelli del lusso: non è un mistero che, per acquistare le borse Hermès più ambite - quei modelli Kelly e Birkin che partono da un prezzo di 8mila euro - ci si debba iscrivere a specifiche liste d’attesa, così come per vedersi consegnare le chiavi di una Ferrari o di una Lamborghini occorrano almeno otto mesi. Tra le grandi griffe vige ancora l’usanza di bruciare i surplus produttivi per non «inflazionare» il prodotto, così come anche tra i brand più giovani si fa strada la pratica delle waiting list per i propri capi.

“Il marketing delle limited edition è un genere ascrivibile alla categoria più ampia del marketing dell’assenza. Il senso è stimolare il desiderio, non vendendo il prodotto ma la marca che ne rappresenta l’identità”

Mauro Ferraresi, sociologo dei consumi 

Se l’attesa del piacere, secondo Lessing, è essa stessa il piacere, in questi casi l’attesa del prodotto, secondo Ferraresi, «è un teaser che fa crescere insieme la reputazione del prodotto e quella del brand». L’approccio non sarà nuovissimo, certo, ma la sua applicazione ai settori del largo consumo, come le acque minerali, è un fenomeno degli ultimi 20 anni.

Le «messe cantate» di Cupertino
Un fenomeno che ha avuto nell’elettronica hi-tech uno dei principali territori di caccia: tutti si ricordano, per esempio, le «messe cantate» con cui Steve Jobs, imprenditore rivoluzionario e santo imbonitore della Silicon Valley, lanciava i nuovi prodotti Apple. Che non venivano distribuiti in tutto il mondo con la stessa tempistica: l’iPhone, per esempio, fu mostrato al mondo nel gennaio 2007, ma solo nel luglio 2008 arrivò in Italia. Diciotto mesi in cui il primo smartphone della storia «c’era ma non c’era», assente dalle vetrine eppure capace come nessun altro prodotto di monopolizzare il dibattito globale sui nuovi device, tra le scene di isteria collettiva di consumatori che arrivavano dagli Stati Uniti e i racconti dei pochi fortunati italiani che erano riusciti a procurarselo.

Marketing privativo: in principio furono le Pringles
Un genere parecchio affasciante è il marketing della privazione. Accendi la Tv, sintonizzi la radio, navighi sullo smartphone, apri un quotidiano e trovi la stessa inserzione pubblicitaria. Ti incuriosisci e decidi addirittura di uscire per comprare il prodotto reclamizzato. Ma - sorpresa! - non è disponibile al negozio sotto casa. E neanche al supermarket più vicino. E neanche all’ipermercato che serve l’area dove vivi. Problemi di distribuzione? Tutt’altro: ti sei imbattuto in una sofisticata strategia di promozione che punta a far crescere l’appeal di un prodotto giocando proprio sulla sua assenza dagli scaffali. Da noi il caso di scuola, quando si parla di marketing privativo, è quello di Pringles: le celebri patatine del tubo sbarcarono sullo Stivale nel 1999, dopo una campagna di pre-lancio curata da Procter & Gamble durata addirittura nove mesi. Come fosse un parto: i media furono invasi da una comunicazione massiccia sull’imminente arrivo di quello che veniva annunciato come lo snack più famoso del mondo, prodotto con un fan club che annoverava star di Hollywood del calibro di Brad Pitt e Leonardo Di Caprio. E poi eventi a tema a Milano, Roma e Napoli organizzati in locali cool dove era possibile assaggiare in anteprima le Pringles. «Il risultato - racconta Osvaldo Adinolfi, fondatore di Yo Communicatyon, all’epoca responsabile della campagna per P&G - fu che, quando le Pringles finalmente arrivarono in Italia, nel giro di quattro mesi diventarono leader di mercato».

Dal «Magnum 7 Peccati» alla Playstation
Adinolfi in Italia è stato il pioniere di questo format comunicativo. Nel 2003 ideò, per esempio, la campagna «Magnum 7 Peccati» per il celebre gelato a marchio Algida di Unilver. «Era la prima volta - racconta - che un’azienda produttrice di gelati investiva su una limited edition. L’intento era trasferire il ritorno d’immagine di quella campagna su tutti i prodotti della linea Magnum». Dal 2004 al 2007, per Sony, Adinolfi gestisce poi le campagne di pre-lancio di PlayStation Portable e PlayStation 3, sempre tutte giocate sull’attesa del debutto italiano. «Non sempre - commenta - la privazione è figlia di strategie deliberate. Un prodotto può essere assente dallo scaffale anche per motivi contingenti, come ritardi nella consegna o rapido esaurimento delle scorte. Chi comunica, però, deve essere bravo a gestire questa assenza, trasformandola in fattore di esclusività». La privazione, in ogni caso, «è materiale da maneggiare con cautela: il rischio è un effetto boomerang, con il cliente che, non trovando il prodotto, si rifugia in quello della concorrenza». Ecco perché oggi, secondo Adinolfi, «si preferisce giocare sulle serie limitate, investire in prestigio senza rischiare quote di mercato». Proprio come ha fatto Evian con Chiara Ferragni. Oppure sull’attesa, più o meno come ha fatto Starbucks, seguita da Karla Otto, per l’apertura-evento della Roastery di Milano. Annunciata due anni fa e più volte rimandata, fino al clamoroso successo di inizio settembre. Il gioco sta tutto qua: negare il prodotto prima, per venderlo meglio poi.

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