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Tap, fermare il gasdotto costerebbe troppo caro. L’ammissione del…

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Tap, fermare il gasdotto costerebbe troppo caro. L’ammissione del M5S

Nella campagna elettorale per le politiche, i Cinque Stelle si erano lanciati, senza nemmeno porsi qualche dubbio, che con loro al Governo la costruzione del gasdotto Tap sarebbe stata fermata in poco tempo. E che l’infrastruttura destinata dal 2020 a portare 10 miliardi di metri cubi di gas l’anno dall’Azerbajian alla Puglia, avrebbe rappresentato un discorso chiuso.

Ma al pari dell’acciaieria Ilva di Taranto, che avrebbe voluto chiudere, il M5S si è presto accorto che non é così facile e che gli slogans elettorali a volte sono destinati a rimanere tali.

Per il gasdotto, un vertice finito nella tarda serata di lunedì 15 ottobre, dopo il Consiglio dei ministri, tra il premier Conte, i ministri Costa (Ambiente) e Lezzi (Mezzogiorno, esponente pugliese di punta dell’M5S), il sottosegretario Cioffi (Sviluppo economico), il sindaco di Melendugno, Potì, ed altri rappresentanti pentastellati, ha confermato che per ora non c’è alcuno stop. E che la possibilità di fermare l’opera è quasi inesistente.

Le ragioni per cui l’opera non può essere fermata
Per almeno tre ragioni: se l’Italia facesse saltare il progetto, o se decidesse di cambiarne l’approdo (oggi è Melendugno, nel Salento lungo l’Adriatico, il governatore pugliese Emiliano ha invece proposto l’area industriale di Brindisi), si esporrebbe al rischio di rilevanti penali da corrispondere. Inoltre, l’opera è provvista di tutte le autorizzazioni e rientra in impegni internazionali assunti dall’Italia. Infine, i procedimenti amministrativi e autorizzativi sinora non hanno evidenziato nulla di irregolare.

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E se il sindaco Potì, tenace oppositore al gasdotto insieme ad un’altra pattuglia di sindaci salentini, continua a chiedere l’altolà, sollecitando il Governo giallo-verde a manifestare «un clima politico ostile a Tap, non favorevole come quello di Letta, Renzi e Gentiloni», il ministro Lezzi ammette: «Nelle prossime 24-36 ore prenderemo una decisione, tuttavia il sentiero è molto stretto. Tap – sottolinea Lezzi – resta un’opera non strategica scelta da un altro Governo e agevolata da un altro Governo».

E sui costi che bisognerebbe fronteggiare qualora, per mantenere la parola data in campagna elettorale, si decidesse di accendere al gasdotto il semaforo rosso, Lezzi dice: «Abbiamo fatto un’analisi dei costi dall’interno dei ministeri. Questi costi il Paese non può permetterseli e noi non ce la sentiamo di addossarli sui cittadini». Infatti sono in gioco diversi miliardi.

E quasi a schivare le critiche di “inganno” e di “tradimento” che stanno arrivando su Tap come per la vicenda Ilva (emblematicamente entrambe in Puglia, nel raggio di 130 chilometri), Lezzi evidenzia: «Non abbiamo nulla di cui vergognarci, non avevamo a nostra disposizione una serie di dati che forniremo pubblicamente». È una sconfitta per il Governo? «Assolutamente no - risponde il ministro -. Ho vissuto come una sconfitta il trattato del 2013. Oggi abbiamo le mani legate, c’è un costo troppo alto che dovremmo far pagare al Paese e per senso di responsabilità non possiamo permettercelo».

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Anche per l’Ilva, il ministro Di Maio avrebbe voluto mandare tutto a monte. Nella realtà, ha trattato con la multinazionale Arcelor Mittal - con la quale c’era un confronto già aperto dal Governo precedente - sia pure agitando la possibilità di annullare la gara di aggiudicazione. Salvo poi accorgersi, con i pareri dell’Autorità Anticorruzione e dell’Avvocatura dello Stato, che non era così semplice farlo. Alla fine, Di Maio ha dato l’ok a Mittal e tenuto l’Ilva aperta, beccandosi però una valanga di accuse dagli elettori tarantini delusi e dai movimenti antagonisti, dichiarando che l’aumento degli occupati (da 10.000 a 10.700) e la stretta sui tempi del piano ambientale comunque salvavano l’interesse pubblico. Unica ragione, commentò, per cui l’esito della gara si poteva revocare.

Su Tap, invece, il ministro Costa lascia ancora qualche margine e dichiara: «Sul progetto del gasdotto ci saranno delle verifiche sulle cartografie. Ci è stato riferito che non coincidono, quindi verificheremo al ministero. Ragioniamo in termini non solo tecnici ma anche di diritto amministrativo per non aprire un contenzioso che darebbe effetti devastanti. Se invece non ci sono profili di illegittimità, abbiamo le mani legate non perché non l’abbiamo voluto noi».

Si farà quindi un ulteriore approfondimento ma, dopo ieri sera a Palazzo Chigi, sembrano ridotte al lumicino le speranze di quanti non vogliono il gasdotto (opera ritenuta essenziale dalla Ue per diversificare le fonti di approvvigionamento del gas, mentre gli oppositori sostengono che sia inutile e rappresenti un grande danno all’ambiente sebbene ci siano diverse prescrizioni in materia). E intanto il fronte No Tap, protagonista di dure proteste nei mesi scorsi e di scontri con le forze di polizia allorquando furono temporaneamente trasferiti gli ulivi presenti nell’area di cantiere, mette di nuovo sott’accusa i Cinque Stelle incalzando: «Dimettetevi se non siete in grado di fermare l’opera». Per Gianluca Maggiore, portavoce dei No Tap, «c’è una forza di Governo che ha contatti con chi finanzia il gasdotto» (e il riferimento è alla Lega) «e c’è una forza di Governo che ci è andata con la parola onestà» (e si riferisce all’M5S). «È il momento di chiarire cosa vogliamo fare - rimarca Maggiore -. Se non siete in grado di fermare un’opera, perché illegale e non ha nulla di strategico, e perché ve lo ha chiesto la popolazione che vi ha eletto, dimettetevi».

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Al vertice di ieri non c’erano i due vice premier. Anzi poche ore prima Salvini aveva fatto chiaramente intendere come la Lega non fosse affatto per bloccare il gasdotto (e non lo era nemmeno per chiudere Ilva). Commentando i risparmi sui costi per l’energia che si avranno con Tap, Salvini aveva infatti detto: «Va bene il tira e il molla, il contratto di governo, la sensibilità degli alleati, ma credo che l’Italia ha bisogno di più infrastrutture, più ferrovie, il Paese ha bisogno di viaggiare».

Nel Salento, intanto, cantieri ancora fermi. Ieri era atteso il riavvio che però non c’è stato. Finito di costruire il pozzo di spinta nel quale sarà calata la “talpa”, la macchina che scaverà il microtunnel, adesso si tratta di far partire i lavori di scavo e di movimento terra nell’area del terminale di ricezione e di far posare il “palancolato” dalla nave ferma a Brindisi. Il “palancolato” è una paratia che serve a proteggere l’habitat marino laddove verrà realizzato il microtunnel, che verrà costruito 15 metri sotto la spiaggia di Melendugno e 20 sotto i fondali. Fonti Tap, dichiarando che l’opera è pronta all’80 per cento (ma tra Grecia e Albania), assicurano che si è ancora in tempo, malgrado tutto, per far arrivare il primo gas nel 2020.

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