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Tap, Ilva, British Gas: tutti i casi di nimby della Puglia. In piazza anche contro il depuratore

Difendiamo il nostro mare, tuteliamo il nostro territorio. E quindi no al depuratore, viva i liquami di fogna scaricati altrove.
Il movimento sedicente-ambientalista che non vuole il depuratore per la fogna è a Manduria (Taranto) ed è uno dei tanti casi di quell’altra parte della Puglia che dice di essere ecologista, ma ecologista solamente a parole. E le parole tengono impegnati per anni i blog, le pagine di cronaca, le procure della repubblica ma tengono bloccati anche gli investimenti.
L’opposizione al metanodotto Tap in provincia di Lecce è il caso più evidente di

questi giorni; in modo simile i no-Ilva. Ma in Puglia ci sono casi di nimby (sigla della locuzione inglese not in my backyard, non nel mio cortile) che meritano di essere raccontati a parte. Come il depuratore rigettato a Manduria, come il rigassificatore progettato a Brindisi dalla British Gas e poi scacciato a vantaggio del gasdotto, come il no “ambientale” alla produzione di compost agricolo ottenuto riciclando i rifiuti. E come la centrale elettrica dimezzata: le caldaie a Brindisi e (udite udite) lo sgradito deposito del combustibile a Capodistria, in Slovenia.

La centrale dimezzata
La centrale a carbone senza carbone è a Brindisi fra il centro storico e il petrolchimico di Pedagne. Costruita nel 1964 dalla neonata Enel, la centrale fu impacchettata nel gruppo Eurogen (una delle tre “genco” da vendere) e fu data all’Edipower.
Una dozzina d’anni fa la magistratura di Brindisi osservò che, quando la tramontana soffiava più tesa, dal carbonile si alzava in direzione di Tuturano una nuvola nera di polvere di carbone, ma quando c’era scirocco impetuoso la spolverata nera intossicava il centro di Brindisi.
Così il deposito di carbone fu sequestrato. L’Edipower dopo mesi di tentativi riuscì a riavviare gli impianti realizzando un altro deposito di carbone. Dove? Il serbatoio del combustibile per alimentare le caldaie fu trovato a Capodistria, Slovenia, a 641 chilometri e 180 metri di distanza (in lettere: seicentoquarantuno virgola centottanta chilometri). Il carbone arrivava nella centrale portato, un poco alla volta, da bettoline che costeggiavano tutto l’Adriatico.

La vicenda, come a volte succede nelle trame migliori, ha due finali distinti.
Primo finale: nel 2013 il processo per inquinamento ha sentenziato che «il fatto non sussiste» e sono stati assolti gli imputati.
Secondo finale: la centrale è passata al gruppo energetico e ambientale lombardo A2a, l’impianto è stato spento ed è stato presentato un progetto di farne un polo dell’ambiente e del riciclo. Risposta del consiglio comunale di Brindisi: nemmeno per sogno.

Il rigassificatore scomparso
Diciassette anni fa la British Gas avviò due progetti gemelli di rigassificatore capaci di riportare allo stato gassoso ciascuno 8 miliardi di metri cubi di metano. Un impianto nel Galles e uno a Brindisi.
L’impianto in Galles fu autorizzato, costruito e dopo cinque anni importava a tutta forza il metano liquido.
Invece l’impianto di Brindisi — 500 milioni di investimento previsto, approvato nel 2002 — riuscì ad arrivare solamente a spianare una sbancata di terreno e roccia a Capo Bianco, davanti al petrolchimico.
Il progetto fu contestato dai comitati nimby e dai politici locali. Striscioni, proteste, consigli comunali alla polvere pirica e nel 2007 l’imperdibile inchiesta della magistratura locale (5 arresti, 27 avvisi di garanzia, 52 perquisizioni in tutta Italia e il sequestro dell’area di Capo Bianco).
Il 6 marzo 2012, dopo 11 anni e 250 milioni di euro gettati al vento, la British Gas ha abbandonato il progetto.
Ne restano due eredità: una sbancata a Capo Bianco così vasta che su Maps occupa una lenzuolata color calcare e un progetto alternativo di metanodotto dall’Azerbaigian, cioè il Tap.

Il depuratore inesistente
Non c’è il servizio di fogne nella zona tra Specchiarica e Urmo, dove l’edilizia da arrembaggio ha trasformato la costa di Manduria e Avetrana (Taranto) in un’anarchia di seconde case attorno a luoghi di antichissimo pregio culturale e ambientale.
Per questo motivo, l’Acquedotto Pugliese ha deciso di allestire la rete di tubature per raccogliere e smaltire gli scarichi delle case.
Nel 2011 la Regione Puglia ha approvato il progetto dell’Acquedotto Pugliese e nel 2013 sono stati aggiudicati i lavori.
Apriti cielo. Proteste a non finire. I comitati nimby sono scesi in piazza — e qui “scendere in piazza” va inteso in modo letterale e non figurato — per «difendere il territorio da questa devastazione».
Dovunque l’Acquedotto Pugliese, accogliendo le proteste, o i sindaci provassero a spostare il progetto, lì trovavano il comitato del «qui no perché devasterà il nostro territorio».
Innumerevoli le occasioni della protesta, con cortei, microfoni e bandiere. Il momento più alto è stato quando contro il depuratore si sono schierati i comitati No Tap e perfino una celebrità come la cantante e attrice Romina Power. A tutela, ovviamente, del territorio.

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