Economia

I dieci rischi che corrono le imprese. E cosa fanno per proteggersi

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osservatorio cineas-mediobanca

I dieci rischi che corrono le imprese. E cosa fanno per proteggersi

Sono dieci i rischi principali percepiti dalle medie imprese italiane e messi in fila nella nuova edizione del rapporto sul risk management stilano da Cineas, il consorzio universitario per l’ingegneria nelle assicurazioni, e da Mediobanca.

I dieci rischi percepiti dalle aziende
La cosa che preoccupa di più le imprese è la sicurezza sul lavoro – che in una scala di “gravità” da 0 a 100 ottiene il massimo del valore secondo gli imprenditori –, seguita dalla difettosità del prodotto e dal cyber risk (a quota 91), il rischio reputazionale (84), la business continuity (82), il rischio ambientale (81), le competenze professionali e le catastrofi naturali – un tema attualissimo, questo, con le alluvioni che stanno colpendo tra fine ottobre e inizio novembre diversi distretti industriali, soprattutto nel Nordest – (entrambe a quota 79), la compliance normativa (con un livello di “gravità” a 77) e l’imitazione del prodotto (64).

Il campione
Alla sesta edizione dell’Osservatorio hanno risposto poco meno di 310 aziende, appartenenti ai settori alimentare, beni per la persona e la casa, chimico farmaceutico, meccanico e metallurgico, con un fatturato medio di quasi 60 milioni di euro (58,2 milioni) e mediamente 151 dipendenti ciascuna.

Il passaggio generazionale
Non compare tra i primi dieci rischi maggiormente temuti dalle medie imprese italiane, ma riveste comunque un elevato livello di criticità secondo i ricercatori di Cineas e Mediobanca: si tratta del passaggio generazionale, un problema che, per la natura stessa di una gran parte delle aziende italiane, rischia spesso di trasformarsi in un ostacolo insormontabile e non di rado di risultato fatale per il proseguimento dell’attività. «Il passaggio generazionale è considerato come un fattore di elevata criticità dall’80% delle aziende intervistate – si legge nel rapporto –. Le medie imprese del campione hanno quasi 50 anni di storia imprenditoriale e vedono alla guida più frequentemente la seconda generazione (41,3% dei casi) e la prima generazione (34,9%)». L’Osservatorio 2018 mette in evidenza un aspetto che si lega al nodo del passaggio generazionale: «La maggioranza dei Ceo (l’81%) proviene dalla famiglia proprietaria dell’azienda – spiegano da Cineas –, ma con il progredire delle generazioni aumenta la probabilità di assunzione di un amministratore esterno alla famiglia, che in genere è più giovane e, più frequentemente, ha un grado di istruzione universitaria. Questo modello di governance “aperta” porta performance economiche migliori, rispetto alle aziende dove permane la sovrapposizione tra proprietà e gestione familiare (Roi: 13,2% contro il 10,2%)».

Più gestisci i rischi più le performance sono buone
«La nostra ricerca ci ha permesso di sottolineare come il governo dell’impresa debba ricomprendere la gestione dei rischi - commenta il presidente di Cineas, Massimo Michaud –. Le aziende più attente alla gestione del rischio guadagnano di più e sono più propense all’innovazione. In particolare, è importante che il management sia edotto sui rischi operativi dell’azienda in quanto nel 57% dei casi è responsabile di questa funzione. La gestione del rischio esce dalla sfera delle funzioni specialistiche per permeare l’attività dell’impresa nel suo complesso». La novità che emerge dall’Osservatorio 2018 è che le imprese che gestiscono i rischi nella modalità più evoluta (la gestione integrata) sono passate dal 17,2% del 2016 al 37,5% nel 2018. Inoltre, come sottolineato da Michaud, continua a evidenziarsi una «correlazione positiva tra performance economiche e gestione integrata dei rischi: oltre un terzo di ritorni in più (+34% il Roi e +39% di Return on Equity, Roe) per le aziende attente ai rischi». Nello stesso periodo, la percentuale di aziende sprovviste di un sistema di gestione dei rischi è passata da quasi il 20% a circa il 6%.

Il ruolo di Industria 4.0
Dall’Osservatorio emerge la coincidenza tra l’adesione a Industria 4.0 e le migliori performance economiche. «Solo il 23,2% delle imprese ha investito sia nell’innovazione dei macchinari che dei processi, mentre il 36% delle imprese non ha ancora attuato nessun tipo di trasformazione». I dati, spiega l’Osservatorio Cineas-Mediobanca «evidenziano che le imprese che si sono attivate per l’adozione delle innovazioni tecnologiche hanno performance economiche migliori» di quelle che sono indifferenti o in ritardo rispetto a Industry 4.0. Una quota notevole di imprese che si è cimentata con Industry 4.0 (30%), lo ha fatto dotandosi delle skills necessarie tramite piani di formazione interna (già realizzati o in programma per il 77,7% dei rispondenti) o tramite acquisizione di risorse esterne specializzate (20%). «Questo scenario – osserva Gabriele Barbaresco, Direttore dell'Ufficio Studi di Mediobanca commentando i risultati della ricerca – evidenzia la sempre maggiore centralità che stanno assumendo i cosiddetti asset intangibili – intendendo con questa espressione il know how, il valore del brand, la reputazione, gli investimenti nella formazione – per le performance dell'impresa».

Mancanza di consapevolezza sulla possibilità di assicurarsi
Vi sono alcuni rischi che le imprese percepiscono come non assicurabili, tra i quali ad esempio il rischio di danno ambientale (rispetto al quale sono assicurate il 58% delle imprese). Il ricorso all’assicurazione coinvolge meno di un terzo degli intervistati per tutta una serie di rischi che vanno business continuity e supply chain (il 32% delle imprese è assicurato), cyber risk (23% di imprese assicurate), tutela delle competenze professionali ex aequo con il rischio reputazionale (19% di assicurati) e imitazione del prodotto (13%). La causa del basso ricorso all’assicurazione è duplice: da una parte la mancata conoscenza dell’offerta assicurativa, dall’altra la percezione che l’evento dannoso abbia una bassa probabilità di verificarsi. Il costo delle polizze non sembra invece rappresentare il motivo principale della rinuncia (solo 25% dei casi).
Secondo l’Osservatorio, rischio reputazionale, perdita delle competenze e interruzione della catena di fornitura (business continuity) rappresentano i profili per i quali la convinzione che non esista uno strumento assicurativo disponibile alla bisogna giustifica in misura preponderante il mancato ricorso alla copertura. Negli altri casi il quadro appare maggiormente equilibrato, mentre spicca per i rapporti invertiti il caso del cyber risk. «Qui non si può non richiamare l’ancora insufficiente percezione della concretezza del rischio da parte delle medie imprese che tendono a considerare l’evenienza confinata a imprese di maggiori dimensioni e operanti in settori specifici (ad esempio, nella finanza o nella salute)».

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