L’Italia dei bisticci politici, dei comitati nimby e del no agli impianti; l’Italia della maleducazione compulsiva davanti ai cassonetti o sul bordo delle strade; l’Italia delle ecoballe e delle balle ecologiche è tra i Paesi più forti nel riciclo dei rifiuti.
In Italia e nel mondo. Viene ricuperato e rigenerato circa un terzo della spazzatura (in tutto gli italiani producono ogni anno circa 30 milioni di tonnellate di rifiuti urbani) e più di due terzi dei circa 130 milioni di tonnellate di rifiuti prodotti dalle attività economiche, che si chiamano speciali e sono per la maggior parte calcinacci di demolizioni e immondizia comune. Due numeri a titolo di confronto: l’Italia ricicla 56,4 milioni di tonnellate di rifiuti, per quantità la seconda in Europa dopo i 72,4 milioni della Germania.
E gli altri? Mentre in Italia ci danniamo l’anima sul tema degli inceneritori a ricupero di energia, in Europa funziona così: i Paesi nordici riciclano e bruciano a tutto spiano; i Paesi del Sud d’Europa ficcano la spazzatura nelle discariche.
Come si fa nel mondo
Il Nord America predilige la discarica classica (54,3% dei rifiuti) e il riciclo (33,3%), l’Asia meridionale come l’India
abusa dell’abbandono a cielo aperto (75%), l’Africa Settentrionale e il Vicino Oriente ricorrono soprattutto all’abbandono all’aperto (52,7%) o in discariche (34%).
L’Europa e l’Asia Centrale che vi fa riferimento (come i Paesi ex Urss) ricorrono in misura equilibrata a tutte le modalità (25,6% abbandono irregolare, 25,9% discarica, 30,7% riciclo e compost, 17,8% incenerimento); l’Africa Nera abbandona la spazzatura (69% e un altro 24% in discariche regolari).
Le Americhe del Sud e Centrale prediligono le discariche (68,5%) ma non è raro l’abbandono (26,8%). L’Asia Orientale e Pacifica è forte nelle discariche (46%) ma anche fa un ricorso generoso all’incenerimento (24% dei rifiuti prodotti). («What a waste 2.0», World Bank).
Visti questi dati, non c’è da stupirsi da dove arriva il 90% della plastica negli oceani: dai fiumi Yangze, Indo, Fiume Giallo, Hai, Nilo, Brahmaputra Gange, Fiume delle Perle, Amur, Niger e Mekong. (Hochschule Weihenstephan-Triesdorf e Helmholtz Zentrum di Monaco).
La spazzatura degli altri
Nel mondo si producono ogni anno 2,01 miliardi di tonnellate di rifiuti, con una previsione che secondo la World Bank arriverà
a 3,4 miliardi di tonnellate nel 2050. Il 4% degli scarti è formato da metalli (come la banda stagnata della latta o l’alluminio),
il 5% vetro, il 12% plastica, il 17% carta e cartoncino, il 44% residui di cibo e di vegetali e il 18% rifiuti diversi.
I più forti produttori di spazzatura sono l’Asia Orientale e Pacifica e l’Europa allargata all’Asia Centrale dei Paesi ex Urss. Ogni anno l’Asia Orientale e Pacifica produce 468 milioni di tonnellate di spazzatura, l’Europa e l’Asia europea 392 milioni. L’Asia Meridionale produce 334 milioni di tonnellate, 289 l’America del Nord, le Americhe Centrale e Meridionale 231 milioni, l’Africa Nera 174 milioni e l’Africa Settentrionale e il Vicino Oriente 129 milioni di tonnellate l’anno. Un terzo di questa immondizia è abbandonata nell’ambiente o bruciata all’aperto. La raccolta dei rifiuti è pari al 96% nei Paesi ricchi, all’82% nei Paesi a media ricchezza, al 51 nei Paesi di nuova economia e al 39% nei Paesi poveri. («What a waste 2.0», World Bank).
Gli europei e il riciclo
In Europa sono in testa con il 67% di riciclo le minuscole isole Faroe (World Bank), 49mila abitanti, quanti quelli di Bassano del Grappa alpini compresi che però hanno il 73,4% di raccolta differenziata.
(Arpav Veneto).
Dopo le isole artiche segue per tasso di riciclo con il 64% il principato del Liechtenstein, 37mila abitanti quanti Vasto (Chieti). La Svezia brucia forsennatamente e ricicla un più modesto 32% dei rifiuti.
Studi in arrivo
Giovedì il Kyoto Club presenterà a Roma un rapporto sull’economia circolare (con i consorzi di riciclo imballaggi Conai, Cial
e Comieco) e il 10 dicembre l’Ispra presenterà la nuova edizione del Rapporto Rifiuti Urbani, un caposaldo dell’analisi ambientale.
Di questi studi, non ancora disponibili, si può anticipare che in Italia l’economia circolare generi un fatturato di ben
88 miliardi, di cui la metà dal solo riciclo.
Tra inceneritori e discariche
Mentre nessun Paese europeo dubita sul ruolo del riciclo, imposto anche dagli obiettivi di Bruxelles, restano forti oscillazioni
fra le due modalità più comuni di smaltimento. Bruciare e dissipare come fumo in aria, oppure ficcare tutto nella discarica
sottoterra. E in genere chi ricicla di più brucia anche di più.
In Svezia e Danimarca vi sono impianti di termovalorizzazione pari (nell’ordine) a 591 e 587 chili di rifiuti per cittadino, seguiti da Olanda, Svizzera, Austria e Finlandia. La media dei maggiori Paesi europei come Francia e Germania si aggira sulla capacità di incenerire 250 chili per cittadino. In Italia ci si ferma a 104 chili. (Etc Wmge, 2017).
Per esempio nel 2013 il vecchio inceneritore di Copenaghen forniva un terzo del riscaldamento delle abitazioni della capitale e il 22 % del fabbisogno elettrico.(Hofor, 2014).
Il ricorso alla discarica va dallo 0,2% dei rifiuti per la Germania, seguita da Svezia, Belgio, Danimarca e Olanda, al 92,7% di Malta. Sopra l’80% anche Cipro, Croazia, Romania e Grecia. L’Italia smaltisce in discarica il 29% dei rifiuti urbani. (Eurostat).
E il riciclo? La media Ue è del 29,4% dei rifiuti urbani, con circa 69,3 milioni di tonnellate ricuperate con una media di 136 chili annui per abitante. Il 16,8% viene compostato per l’agricoltura e per la digestione anaerobica, mentre il 27,5% viene incenerito e il 26,3% finisce gettato in discarica. (Eurostat).
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