Economia

L’Università di Bologna al timone della bioeconomia europea

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PROGETTI COMUNITARI

L’Università di Bologna al timone della bioeconomia europea

Un impianto a biomassa
Un impianto a biomassa

L’Alma Mater diventa l’epicentro nazionale degli studi e dei finanziamenti europei sulla bioeconomia e la bioindustria. Prima è arrivata la nomina di Fabio Fava, professore di Biotecnologie industriali alla Scuola di Ingegneria e architettura dell’Università di Bologna, alla guida del gruppo dei 36 Paesi europei che partecipano al progetto sulle bio-industrie (Bio-based Industries Joint Undertaking - BBI JU), grande partenariato pubblico-privato che dovrà gestire 3,7 miliardi di euro dell’Ue per innovare il comparto della trasformazione di biomasse non alimentari e rifiuti biologici in composti green da riutilizzare. Ora l’ateneo bolognese ha dato vita alla European Bioeconomy University, un’alleanza internazionale con altre cinque università europee leader negli studi sulla bioeconomia.

Assieme a Bologna lavoreranno docenti e ricercatori di Hohenheim (Germania, capofila), Eastern Finland (Finlandia), AgroParisTech (Francia), Boku Vienna (Austria) e Wageningen (Paesi Bassi), con l’impegno a rafforzare la collaborazione e sviluppare approcci comuni per affrontare le sfide più urgenti della società così da rendere l’economia del Vecchio continente più efficiente sotto il profilo delle risorse, più sostenibile, competitiva e fondata su una prospettiva circolare. «La firma della European Bioeconomy University ha radici lontane, nella “food force” delle accademie europee creata già nel 2008, nell’ambito del VII Programma quadro, in cui Bologna entrò perché già allora era la prima università italiana sui temi della bioeconomia», spiega Fava. La bioeconomia basata sulla conoscenza svolge un ruolo chiave nello sviluppo di nuove colture per l’alimentazione, di nuovi prodotti per l’industria come bioplastiche e prodotti chimici estratti da risorse rinnovabili e per la salvaguardia del patrimonio naturale. E, soprattutto, è il driver per il cambio di paradigma da una economia dipendente dai combustibili fossili a una basata sul riciclo, tematica che si lega strettamente a quella della mitigazione dei cambiamenti climatici.

Si stima che il settore della bioeconomia impieghi oggi oltre 18 milioni di posti di lavoro in Europa e c’è il potenziale per creare almeno un altro milione di lavori “green” entro il 2030: nuova occupazione orientata al futuro e pensati per le giovani generazioni europee, che permetterebbero anche di rafforzare la competitività internazionale. I sei atenei della European Bioeconomy University puntano su tre pilastri per la transizione verso la bioeconomia: attività di ricerca, didattica di eccellenza e innovazione. Se la European Bioeconomy University è il nuovo think tank per progettare il futuro comunitario, lo States Rapresentatives Group all’interno dell’Iniziativa tecnologica congiunta sulle bio-industrie (BBI JU) è il più poderoso partenariato pubblico-privato per finanziare progetti che portino a spingere il recupero di biomasse non alimentari e rifiuti biologici in composti chimici, materiali e combustibili biobased utilizzabili nei settori farmaceutico, chimico, cosmetico, tessile e dell’energia.

In campo ci sono 3,7 miliardi di euro per il settennio 2014-2020, per il 73% finanziati dalle industrie al fine di spingere il trasferimento della conoscenza (il restante 27% sono fondi Horizon). Risorse cui si sommano 3,8 miliardi di euro provenienti totalmente dal programma Horizon 2020 per il sostegno alla ricerca e all’innovazione competitiva nel campo della bioeconomia (la Societal challenge n.2 che include tutto il settore primario, l’economia del mare e l’agrifood). «È dal 2013 che rappresento l’Italia per la bioeconomia presso la Commissione europea e seguo da allora lo sviluppo di Horizon 2020 per conto del ministero della Ricerca », precisa il professor Fava, delegato del rettore dell’Alma Mater per la ricerca industriale e l’innovazione. Ora coordinerà fino al 2020 anche il tavolo dei 28 Paesi Ue più altri 8 “associated countries” (tra cui Norvegia, Svizzera e Turchia) che avrà il compito di definire l’agenda strategica e le priorità di innovazione da finanziare, concorrendo così anche alle azioni di indirizzo legate alle priorità di Horizon Europe, il nuovo programma quadro europeo 2021-2027 che con un budget di circa 100 miliardi di euro sarà il più ambizioso programma di ricerca e innovazione di sempre.

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