Huawei raddoppia in Italia. E per farlo sceglie Milano e il cuore del suo salotto buono: Piazza Duomo. In una delle strade adiacenti il colosso cinese delle tlc ha deciso di giocare la carta di un nuovo centro di ricerca e sviluppo che servirà per l’intero gruppo. Sarà il secondo nel Paese, dopo quello di Segrate alle porte di Milano, attivo dal 2008 e specializzato sul microwave. In sostanza qui si lavora per perfezionare i ponti radio per le reti mobili ma si studiano anche possibilità di sfruttamento di altissime frequenze: 90 e 150 Ghz. «Il centro R&D di Milano sarà invece focalizzato sul design e sul fashion, elementi distintivi del made in Italy», conferma al Sole 24 Ore il ceo di Huawei Italia, Thomas Miao. E partirà a gennaio.
Quarantuno anni, Ceo nel nostro Paese da un anno, Miao è in Huawei da 16 anni. Lo racconta con orgoglio, ripercorrendo gli inizi come ingegnere e poi come manager in Ucraina, Russia e, in definitiva, da 14 anni operativo fuori dalla Cina. Insomma un manager d’esportazione “made in Huawei”, azienda che sempre più nel dibattito e nell’immaginario sta assumendo il ruolo di simbolo di quell’hi-tech cinese su cui si stanno moltiplicando gli allarmi in tema sicurezza o che, a buon diritto, può essere considerato uno dei detonatori, se non il principale, dello scontro commerciale, ora in stand by, fra gli Usa di Trump e la Cina di Xi Jinping. «Gli allarmi di cui si legge – replica Miao – non sono basati su fatti. Da parte nostra incoraggiamo il dialogo, per parlare dei problemi quando e se ci sono. Ma qui stiamo parlando di cose che non trovano riscontro nella realtà. Noi siamo attivi da 30 anni sul mercato e i nostri prodotti sono venduti in 170 Paesi».
I fatti, per Miao, dicono invece per esempio che «a Bruxelles a febbraio aprirà un centro sulla cybersecurity, il primo in Europa». E dicono anche che in Italia l’eco di certe polemiche è lontano, afferma il ceo ricordando che, lato consumer, sugli smartphone «siamo praticamente affiancati a Samsung». Del resto Huawei si è radicata nel tempo fino a occupare oggi 850 persone («e intendiamo assumere ancora») fra le sedi di Milano e Roma, per un fatturato di 1,5 miliardi per il 50% realizzato nel segmento “consumer”, con il resto suddiviso fra enterprise (soluzioni per le aziende) e carrier (soluzioni e infrastrutture di rete) che è l’altro grande business. Percentuali tutto sommato simili a quelle del giro d’affari globale.
La multinazionale cinese – 92,5 miliardi di dollari di ricavi nel 2017 (+15,7% rispetto al 2016); 180mila dipendenti; investimenti in ricerca e sviluppo al 15% del totale ricavi – spegnendo le sue 15 candeline in Italia ha quindi deciso di rilanciare con un nuovo centro R&D che sarà «un punto di riferimento per i nostri partner e per le aziende interessate per lavorare con noi su prototipi, modelli, prodotti». Il tutto con una dimostrazione “di forza” nel cuore di una Milano «che è il luogo più rappresentativo del design e del fashion made in Italy», con un centro R&D che occuperà in questa prima fase una ventina di persone.
Si tratta, per Huawei, di una mossa che va di pari passo anche con le ambizioni sul 5G. «L’Italia è avanti a livello europeo grazie alle sperimentazioni del Mise e alle quali partecipiamo, con Tim e Fastweb, a Bari e Matera». Tutti motivi che fanno pensare a una crescita dell’impegno di Huawei in Italia: Paese che tra i suoi plus annovera «un mercato friendly, aperto e trasparente». E il neo? «La complessità delle procedure; la burocrazia».
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