Tetto di finanziamento a 15 milioni per singola Pmi. E obbligo per gli operatori finanziari di acquisire dall’impresa “target” una dichiarazione che attesti il rispetto dei requisiti. Sono i contenuti principali della bozza del decreto attuativo sui nuovi Piani individuali di risparmio, quelli che in base alla legge di bilancio, a partire dal 1° gennaio 2019, devono destinare il 3,5% dell’investimento a quote o azioni di fondi di venture capital e il 3,5% alle Pmi quotate all’Aim.
Il decreto risulta in questo momento all’ultimo esame del ministero dello Sviluppo economico dopo la messa a punto del ministero dell’Economia, ma non è ancora chiaro quando sarà pubblicato in Gazzetta ufficiale.
Il testo conferma il cambio di rotta sostanziale per il mercato dei Pir. Infatti una quota complessiva del 7% viene di fatto vincolata alle regole Ue sul capitale di rischio, irrigidendo notevolmente la normativa e le scelte degli operatori rispetto alla filosofia originaria di questo strumento.
La bozza visionata dal Sole 24 Ore specifica che sia le Pmi che si quotano all’Aim sia quelle oggetto di investimento da parte dei fondi di venture capital non possono ricevere risorse finanziarie come aiuto per il finanziamento del rischio superiori a 15 milioni. Con questo tetto l’Italia si adegua ai parametri già fissati da regolamenti comunitari in materia di aiuti di Stato per le Pmi «ammissibili» alle misure per il finanziamento del rischio.
Per accedere ai nuovi Pir, i fondi di venture capital devono investire almeno il 70% dei capitali raccolti nelle Pmi considerate «ammissibili». La bozza spiega inoltre che ai fini delle percentuali vincolate di investimento per Aim e venture capital si possono computare sia operazioni in equity sia in “quasi-equity”.
Nelle definizioni iniziali, la bozza ricapitola quali sono le Pmi ammissibili all’investimento del Pir. Tra i requisiti, c’è quello di operare sul mercato da meno di 7 anni dalla prima vendita commerciale. Ma c’è una deroga. Infatti - sempre rispettando il tetto di 15 milioni - è possibile investire utleriormente nella Pmi anche se ha più di 7 anni di attività, se lo prevede esplicitamente il piano aziendale e se l’impresa, anche se collegata a un’altra impresa, resta classificabile come Pmi.
Gli operatori finanziari devono acquisire dalla Pmi “target” il piano aziendale. Il testo prevede inoltre la possibilità di acquistare quote o azioni di una Pmi non quotata anche da un investitore precedente, ma solo in combinazione con un apporto di nuovo capitale pari almeno al 50% dell’ammontare complessivo dell’investimento.
Sia per la quota Aim sia per quella venture capital, gli operatori presso i quali sono costituiti i Pir hanno inoltre l’obbligo di acquisire una dichiarazione sottoscritta dal legale rappresentante dell’impresa che attesti che la Pmi ha ricevuto risorse come aiuto per il finanziamento del rischio fino a 15 milioni e che, al momento dell’investimento iniziale, non risultata quotata. Non solo. Nella dichiarazione deve risultare almeno una delle condizioni previste sempre dalle regole Ue: oltre a quella già citata dei sette anni, le altre possibilità sono non avere operato tout court in alcun mercato oppure avere bisogno di un investimento iniziale per il finanziamento del rischio superiore al 50% del fatturato medio degli ultimi cinque anni. Quest’ultima condizione deve emergere da un piano aziendale messo a punto per il lancio di un nuovo prodotto o per l’ingresso su un nuovo mercato geografico.
I nuovi limiti per i “Pir 2.0” potrebbero comunque essere modificati in futuro, almeno stando a quanto prevede l’articolo 6 della bozza del decreto. Si stabilisce infatti che lo Sviluppo economico, dopo 6 mesi dalla pubblicazione del provvedimento, dovrà procedere al monitoraggio degli effetti prodotti dalle nuove regole fissate dalla legge di bilancio, sia in termini di entità della raccolta sia sul numero delle negoziazioni, «anche al fine di valutare l’opportunità di interventi normativi ulteriori».
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