Economia

Leonardo, Profumo: «Progetti per un’Europa della difesa»

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intervista

Leonardo, Profumo: «Progetti per un’Europa della difesa»

Una nuova Europa è possibile? «Sono un inguaribile ottimista e continuo a ritenere la sfida europea fondamentale. Certo occorrono dei cambiamenti ma, alla fine, la strada verrà trovata e nella difesa permetterà di costruire un percorso razionale che consentirà di spendere nel modo migliore i soldi dei cittadini».

GUARDA IL VIDEO / Leonardo leader nel mondo per elicotteri civili

Le alleanze con francesi, tedeschi e inglesi rischiano di saltare? «È vero il contrario e lo confermano due esempi. Il programma anglo-italiano Tempest e quello franco-tedesco, entrambi nei caccia, auspico possano convergere. Ugualmente, nei carri armati, Leonardo ha le carte in regola per affiancarsi al progetto avviato da Germania e Francia». I progetti con la Cina per un nuovo aereo mettono in discussione il rapporto storico con Boeing? «Non vedo problemi particolari perché il dialogo con gli americani è continuo. Nel caso le buone relazioni con Boeing sono la priorità».

Alessandro Profumo, amministratore delegato di Leonardo, ha presentato ieri il bilancio del primo anno intero trascorso alla guida del gruppo dopo la nomina nel maggio 2017 (si veda l’articolo in basso). E, in questa intervista, risponde sui punti chiave delle strategie aziendali alla vigilia della trasferta londinese, a cui seguirà la presentazione dei conti agli analisti, con tappe a Parigi, Los Angeles, San Diego, New York, Boston.

GUARDA IL VIDEO / Leonardo avvia a Pisa la produzione dell'elicottero a guida remota

Il portafoglio ordini è in linea con il piano?
A inizio anno avevamo dato una previsione per il 2018 di 12,5-13 miliardi di euro. Poi, a luglio, l’abbiamo portata a 14-14,5 miliardi. Oggi il consuntivo è stato di 15,1 miliardi. La struttura dedicata costruita per rilanciare il mercato internazionale ha lavorato bene.

C’è chi sostiene che i numeri traggono beneficio da poche, grandi commesse in Qatar, Kuwait, Stati Uniti. È così?
Tutte le grandi aziende vivono anche di grandi ordini, che sono motivo di soddisfazione e orgoglio, non variabili negative. I contratti con il Qatar, in particolare, valgono 3 miliardi e gli Stati Uniti rappresentano il 28% del giro d’affari complessivo, ottenuto però sommando operazioni piuttosto frazionate.

State partecipando a gare per altre commesse d’impatto così elevato?
Replicare questi contratti è difficile. Negli elicotteri l’ordine del Qatar è stato il più elevato nella storia aziendale.

Le tensioni in Europa vi stanno creando difficoltà?
Tutte sono ampiamente superabili. Nella mia vita manageriale precedente, in Unicredit, ho sempre puntato su operazioni transnazionali. E anche qui lo sto facendo. Tra i vari Paesi ci sono visioni diverse ma, alla fine, è interesse comune costruire una strategia unica. Nella difesa è condizione necessaria per ottenere risultati migliori e competitivi nel mondo.

L’asse tra Parigi e Berlino sulla difesa integrata europea rischia di isolare l’Italia e svantaggiare anche voi?
Allo stato no anche se occorre che l’Italia abbia politiche attive sia con Francia e Germania, sia con Regno Unito e Spagna. Non solo. Vanno costruiti sistemi di alleanza con i Paesi del centro Europa.

Francia e Germania stanno studiando il nuovo carro armato europeo. Leonardo è tagliata fuori?
Non è stato ancora deciso a chi affidare il progetto, un progetto importante. Noi abbiamo competenza nell’elettronica e nei carri armati con Oto Melara. Vedremo.

Nel Regno Unito state partecipando ai lavori per un nuovo caccia inglese, il Tempest. Contemporaneamente francesi e tedeschi hanno un’alternativa: l’Fcas. Cosa farà Leonardo? Come potrà contare considerando che lo Stato italiano non ha previsto alcun fondo per il progetto?
Tempest verrà aperto alla partecipazione di altri Paesi. Auspico la convergenza con francesi e tedeschi.

La trasferta negli Stati Uniti del sottosegretario alla presidenza del consiglio, Giancarlo Giorgetti, è stato utile a Leonardo?
Si, nel mercato della difesa è decisivo dare visibilità e supporto al sistema Paese. Dal canto nostro Leonardo è uno strumento importante di politica internazionale.

L’americana Drs si è confermata difficile da integrare nel gruppo. Avete deciso di metterla in vendita?
Tutt’altro. Drs ci permette di partecipare ai programmi classificati, in cui occorre dare garanzie particolari. In un mercato, quello degli Stati Uniti, che per noi rappresenta il 28 per cento del fatturato complessivo. L’azienda è stata interamente ristrutturata e oggi va verso una redditività a due cifre. Non so se è stata in dismissione. Dopo il mio arrivo sicuramente no perché ci ho creduto fin dall’inizio.

Gli elicotteri sono un punto di forza del gruppo. Pensate a concentrazioni con altri oppure ad acquisizioni?
Già oggi siamo leader negli elicotteri per utilizzi civili. Continueremo a crescere ma per linee interne, finanziando progetti che possono dare soddisfazioni adeguate. Un esempio è il modello Aw 609, un oggetto fantastico. Il decollo resta verticale ma viaggia in orizzontale come un aereo, al di sopra delle nuvole, a velocità doppia degli elicotteri.

In futuro gli elicotteri potranno incrociarsi con i droni?
Assolutamente sì. Già oggi disponiamo di due modelli a guida remota. In più la divisione elicotteri sta cominciando a ragionare su un altro progetto affascinante: l’automobile a decollo verticale.

I droni sono il futuro. E Leonardo partecipa al programma europeo con Germania, Francia, Spagna. Verrà coinvolta anche Piaggio aerospace che ha un progetto importante e di cui Leonardo è creditore per circa 115 milioni?
Il credito è una partita totalmente separata.

Quanto pesa sul bilancio del gruppo?
Nulla, perché il credito è stato totalmente svalutato. A noi, peraltro, di Piaggio aerospace interessa la parte manutenzione motori, che occupa il 40% circa dei dipendenti ed è fondamentale per l’aeronautica militare italiana.

I rapporti con Boeing sono molto forti, soprattutto negli elicotteri. Prevede ripercussioni dall'incidente in Etiopia?
Nessuna. Boeing è e resterà partner fondamentale. È un'azienda da cui abbiamo imparato moltissimo. L’ultimo esempio è il programma che ha messo a punto per migliorare la qualità dei fornitori. Noi, classificati da loro come il fornitore migliore, stiamo cercando di replicarlo con i nostri fornitori.

Con quali risultati?
Significativi, anche per quanto riguarda i risparmi sui costi.

Quanto avete tagliato finora?
Almeno 200 milioni e senza strizzare i fornitori, ma imparando insieme a lavorare meglio.

Nell’aeronautica commerciale Leonardo resterà legata più a Boeing che all’Airbus?
Siamo uno dei pochi produttori europei che lavorano con entrambi e continueremo a farlo. Aggiungo che, non ponendo limiti alla Provvidenza, sono convinto che arriveremo perfino a migliorare le posizioni.

I vostri progetti in Cina per il nuovo aereo di Comac (Cer-929) non risultano particolarmente graditi agli americani. Con quali conseguenze?
Escludo ogni conflittualità con Boeing che per noi resta partner chiave ma, per la verità, non vedo problemi particolari.

La sconfitta nella gara americana per gli aerei addestratori riduce le prospettive per l’M-346? Gli ordini per questo velivolo scarseggiano?
Non abbiamo vinto, ma ottenuto soddisfazioni adeguate che ci lasciano ben sperare. La gara prevedeva due componenti: la qualità e il prezzo. Sul primo fronte ci siamo piazzati allo stesso livello di Boeing. Poi, sotto certi valori non potevamo andare perché avrebbe significato generare perdite significative. L’M-346 è un velivolo da addestramento per piloti militari eccellente e ci stiamo organizzando, insieme all’aeronautica militare italiana, una delle migliori al mondo, per vendere anche servizi di addestramento come Ifts (International flight training school), in Italia. Un progetto in cui crediamo molto.

Sono possibili, e a quali condizioni, accordi più stretti con Fincantieri?
Fincantieri, che ha fatto un percorso eccezionale di crescita, produce navi. Noi facciamo un lavoro diverso. Grazie all’accordo su Orizzonti sistemi navali abbiamo compiuto un grandissimo passo avanti, ma resteremo due aziende separate che si muovono in collaborazione.

Come sta procedendo la trattativa con la francese Naval per una joint venture nei siluri leggeri?
Il percorso è molto chiaro anche se, in questo momento, siamo in attesa degli esiti del confronto interno al mondo francese sulle scelte nella sensoristica. Poi vedremo.

Conferma che resterete fuori dal salvataggio Alitalia?
Non vedo alcun significato strategico che giustifichi un eventuale investimento.

Le piace di più la produzione del gruppo nella difesa oppure nel civile?
Le due attività sono inscindibili. Sia perché le tecnologie del militare sono decisive per l’evoluzione dell’industria civile, sia perché la redditività della difesa serve a finanziare il resto.

Leonardo è molto diversificata. Sono previste altre razionalizzazioni?
Il portafoglio, ricco e ben strutturato, ha come focus tre attività: elicotteri, velivoli, elettronica per la difesa. Continueremo così. Certo, nel tempo, dovremo capire come rafforzarci ancora di più.

Le altre aziende mondiali del settore sono almeno il doppio di Leonardo. Come pensa di affrontare la concorrenza di Airbus, Lockheed Martin, Thales?
Il fattore dimensione è fondamentale nei singoli settori, non considerando la holding. E nei singoli settori abbiamo leadership mondiali.

Dalla maxi privatizzazione di Finmeccanica nel giugno 2000 il titolo ha perso oltre il 68 per cento. Quando lei ha assunto l’incarico nel maggio 2017 quotava 15,52 euro mentre oggi è a 8,648 euro, con una perdita superiore al 40 per cento. Gli azionisti hanno qualche speranza?
Ho comprato 100 mila azioni a 9,73 euro e sono assolutamente convinto di avere fatto un buon investimento. Stiamo lavorando per fare quanto il mercato si aspetta: evitare sorprese negative e generare un significativo ammontare di cassa. Io ci credo.

Il management del gruppo è cambiato profondamente. Rifarebbe uno spoiling system così radicale?
Penso di avere fatto il bene degli azionisti valorizzando dirigenti interni ed esterni al gruppo come Bill Lynn (alla guida di Leonardo Drs), Gian Piero Cutillo (elicotteri), Valerio Cioffi (velivoli), Lorenzo Mariani (area commerciale), Raffaella Luglini (relazioni esterne), Simonetta Iarlori (risorse umane) . Tutti, tranne una, non li conoscevo. In alcuni casi hanno pensato che fossi un po’ matto, ma i risultati mi stanno dando ragione.

Lei, appena nominato, ha giudicato positivo lo smantellamento delle società prodotto deciso dal predecessore e la trasformazione in semplici divisioni della holding. È ancora della stessa opinione?
Assolutamente sì perché mettere a fattor comune funzioni di supporto ha permesso di dare valore aggiunto alle diverse attività per fare meglio. Oggi, dopo avere dato sostanza alla holding, abbiamo creato una grande matrice concentrando l’area commerciale, rapporto con i fornitori, comunicazione, governance.

Il vertice del gruppo è cambiato molto negli ultimi anni. Non si rischia l’instabilità?
Una struttura manageriale deve muoversi con orizzonte a lungo termine ed è esattamente quello che stiamo facendo. Qui lavoriamo pensando Leonardo tra 15 anni. Tocca ad altri soggetti decidere le nomine al vertice. Le scelte vengono fatte dagli azionisti.

Uno dei principali competitor, la francese Thales, ha centrato la propria strategia sul digitale. Condivide tale scelta? Lo farà anche Leonardo?
Tutta la nostra attività è centrata sul digitale. Forse non pubblicizziamo programmi specifici, ma il digitale è la base di ogni iniziativa.

Dicono che sia in arrivo una operazione straordinaria sul capitale. È davvero così?
Non ne vedo la necessità. Il rapporto tra debito ed ebitda è a 1,6, certamente sostenibile. In più, Leonardo è tornata a generare cassa e, di conseguenza, una parte andrà a ridurre sempre di più l’indebitamento.

State lavorando all’emissione di un bond per una cifra importante?
Non mi risulta neppure questo.

Gli anni passano. Continua a entusiasmarsi lavorando?
Molto. Anche perché alla mia età le alternative per divertirsi diminuiscono.

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