Dopo il venerdì di Greta. Che cosa ci ha lasciato? Ovviamente il venerdì del clima l’impegno nell’ambiente, la sollecitazione ai politici, la mobilitazione dei giovani.
Il venerdì del clima ci ha lasciato anche l’invidia di chi non ha capito il messaggio della giovane donna svedese, le polemiche intorno ai “gretini”, le affermazioni pubbliche di Rita Pavone e poi la sua richiesta di scuse, l’acidità e il cinismo di chi contesta la scelta di Greta Thunberg o i dettagli sulle sue caratteristiche, come lo sguardo corrucciato e difficile da sostenere, e soprattutto la scelta di chi la segue.
Il venerdì del clima ci ha lasciato torme di complottologi (sui social è stato scritto che dietro l’attivista c’è la lobby dei fondi d’investimento, dei produttori di treccine e dei fabbricanti di berretti e sciarpe), ha fatto scoprire a molti che fra le caratteristiche umane c’è anche quella definita Asperger.
Inoltre il gretismo, quelli che parlano di Greta per nome, come se la conoscessero da sempre.
Imbarazzante la gara dei politici italiani ad appropriarsi ogni merito dell’ambientalismo, appuntare al petto la medaglia Greta e la medaglia Clima, mendicare consensi dai giovani e dagli elettori sensibili all’ambiente.
Non basta: la fotografia di Thunberg con trecce e cerata gialla è stata adattata per generare una famiglia di immagini diventate virali e che — a mio parere — diventeranno un’icona alla stregua degli “knighi” di Rodcenko 1924. Così ecco Matteo Salvini in trecce e cerata, che su Twitter @LoMassi Logaritmico 1.7 attribuisce alla sua creatività, ma anche mille altre variazioni sul tema, come quelle adottate dal twitstar Dario Ballini o da Chef Rubio.
Il copincolla della canzone partigiana italiana Bella Ciao — ribattezzata «Do it now» dall’organizzazione belga Sing for Climate — è stato la colonna sonora che ha viaggiato in modo virale sugli smartphone dei milioni di giovani che in tutto il mondo hanno partecipato alle manifestazioni di Friday for future, lo sciopero degli studenti per il clima (in svedese Skolstrejk för klimatet) promosso dall’infaticabile sedicenne Greta Thunberg.
Confronti giovanili
Con 235 raduni, l’Italia vanta il primato di Paese più attivo nell’accogliere l’appello accorato di Thunberg.
Seguono la Francia (216 eventi), la Germania (199), gli Stati Uniti (168), la Svezia dove è nato il progetto (129) e la Gran Bretagna (111 manifestazioni).
A Parigi le persone in piazza venerdì erano tra le 29mila (stima della gendarmeria) e le 40mila (secondo gli organizzatori).
Molti slogan in tono con la fama di città dell’amore. Per esempio «Fai fondere il mio cuore, non la banchisa».
Impietoso il confronto con le devastazioni condotte poche ore dopo dai gilet gialli all’acte XVIII.
In Germania nelle diverse città hanno manifestato 300mila persone, dice Fridays for Future Deutschland; circa 10mila a Londra.
Tra i motti della “generazione smartphone” che hanno colpito di più, quello visto a Wellington in Australia, dove il cartello diceva: «Climate change is worse than Voldemort», il personaggio cattivo dei romanzi di Harry Potter.
E in Italia? I Verdi azzardano una stima forse lusinghiera, «più di un milione di giovani e persone di tutte le età», e a Milano sempre con ottimismo gli organizzatori parlano di 100mila partecipanti.
Numeri più sicuri: 3mila ad Ancona, a Palermo, a Bergamo; 5mila partecipanti a Genova e Venezia; 6mila giovani censiti a Roma e 10mila a Torino.
Politici incapaci e rapaci
La marcia di venerdì era per il clima, certo.
Però il clima è lo scopo finale, di prospettiva, delle iniziative mentre il vero obiettivo della protesta che Thunberg muove con caparbietà coraggiosa da mesi sono i politici dei Governi del mondo, che lei ritiene incapaci di contenere il cambiamento del clima osservato dagli scienziati.
L’ambientalista sedicenne ha detto che questo sciopero viene fatto «da Washington a Mosca, da Tromso a Ivercargill, da Beirut a Gerusalemme, da Shanghai a Mumbai perché i politici ci hanno abbandonato».
Ma se i politici sono colpevoli dell’inadeguatezza di fronte alla domanda forte del mondo giovanile, in questi giorni quegli stessi politici sono stati anche i più veloci ad attribuirsi medaglie ambientali e meriti ecologici.
Imbarazzante in Italia la raccolta di pagine e pagine piene di vibranti dichiarazioni di adesione allo sciopero per il clima diramate da partiti, associazioni e parlamentari di ogni colore, tonalità e sfumatura.
I prèsidi: tornate in classe
Qualche commento di fonte non politica. Al «cambiamento dei nostri sistemi di vita parte dalle giovani generazioni» s’ispira Guido Barilla, presidente della Fondazione Barilla Center for Food & Nutrition.
Come esige il ruolo, invita a studiare di più e a protestare meno il presidente dell’Associazione nazionale prèsidi, Antonello Giannelli: «Comprendo appieno l’entusiasmo e l’idealismo adolescenziale ma non credo che saltare un giorno di scuola possa davvero aiutare i nostri ragazzi a diventare più consapevoli sulla questione».
Si è espressa a fianco dei giovani perfino l’Associazione Florovivaisti Italiani.
Il clima cambia davvero
Anche in Italia il clima sta cambiando davvero, come accade da infinite ere geologiche, ma questa volta a parere degli scienziati il cambiamento è correlato non più ai cicli naturali bensì in modo evidente all’attività umana: le emissioni artificiali di anidride carbonica nell’aria. Il gas prodotto dai processi di combustione naturale (eruzioni, incendi di foreste), biologica (la respirazione di piante e animali) e artificiale (centrali termiche ed elettriche, motori, riscaldamenti) ha superato la percentuale dello 0,04% nella composizione dell’aria che respiriamo.
Di sicuro in questi mesi l’Italia è nella morsa di una siccità non prevista, una siccità che sta impoverendo perfino l’Alta Italia che in genere non difetta di acqua.
Italia a secco e laghi vuoti
Il Po e tre grandi laghi del Nord Italia (Maggiore, Como e Iseo) hanno livelli idrometrici sotto la media stagionale, simili a quelli che si registrano nei mesi estivi. L’agricoltura lombarda conta sulle potenzialità irrigue dei grandi laghi prealpini, ma i laghi di Como e d’Iseo sono già “in riserva”. In allarme la Legambiente Lombardia, che sollecita interventi; preoccupata l’associazione delle bonifiche Anbi.
Al lago Maggiore da inizio anno sono mancati 174 milioni di metri cubi di afflusso rispetto alla media (-20% rispetto alla media del periodo), a quello di Como l’ammanco è di 95 milioni (-21%), all’Ideo di 59 milioni (-28%), al lago di Garda mancano 131 milioni di metri cubi d’apporto (-51%).
© Riproduzione riservata