In una stanza di circa 20 metri quadrati, chiuse in grandi bidoni di acciaio inox e immerse nell’azoto liquido ad almeno 130° sotto lo zero, sono mantenute in vita, con tecniche di crioconservazione, cellule modificate con le più avanzate tecniche di manipolazione genetica.
Sono cellule prelevate da pazienti affetti da malattie genetiche o tumori. Ingegnerizzate in laboratorio, “armate” e pronte a e essere reinfuse negli organismi da cui provengono, per contrastare e sempre più spesso curare le malattie che li hanno colpiti.
La piccola stanza è il luogo dove si concentra il lavoro dei 200 ricercatori della MolMed. Intorno, un’area di 3.300 metri quadrati di laboratori e uffici. Siamo all’interno del parco scientifico Open Zone, a Bresso, alle porte di Milano, nell’Officina farmaceutica che, nel 2017, ha ottenuto la qualifica di facility per le attività di produzione di medicinali sperimentali di terapia genica e cellulare.
Fondata nel 1996 come spin-off accademico dell’Istituto Scientifico San Raffaele, MolMed è oggi una biotech italiana focalizzata su ricerca, sviluppo, produzione e validazione clinica di terapie geniche e cellulari per la cura di cancro e malattie rare. Il primo paziente trattato in età pediatrica - nell’ambito di un progetto Telethon - con una terapia genica prodotta nei suoi laboratori oggi ha 24 anni e vive una vita normale. Dopo di lui, negli anni, sono stati trattati altri 200 pazienti.
Quotata sul mercato Mta di Borsa Italiana, ha una capitalizzazione di circa 200 milioni di euro. È stata la prima società biotech in Europa ad aver ottenuto l’autorizzazione alla produzione per fini commerciali di terapie geniche e cellularicon certificazione Gmp (Good manufacturing practices).
Proprio nell’Officina di Bresso – e in quella che sorge presso il Dipartimento di Biotecnologie (Dibit) dell’Ospedale San Raffaele di Milano – MolMed ha messo a punto il processo industriale per la produzione delle terapie Car-T (Chimeric antigen receptor): la cosiddetta “immunoterapia oncologica”, che ingegnerizza e potenzia i linfociti T del paziente indirizzandoli contro i tumori.
L’attività è divisa in tre raparti: produzione, controllo qualità e ricerca e sviluppo. Vi lavorano rispettivamente 25, 35 e 45 persone. Il processo che porta alla provetta di cellule modificate dura, mediamente, 25 giorni. I primi dieci giorni sono dedicati alla produzione. Le cellule che provengono dal paziente vengono ricevute nell’Officina. Con un primo trattamento si isolano i linfociti T, che poi vengono messi a contatto con il vettore virale, che ha la capacità di trasportare informazioni genetiche all’interno delle cellule. Nel caso dei tumori i linfociti T vengono “armati” per contrastare le cellule cancerogene attraverso i meccanismi del sistema immunitario. Nel caso delle malattie genetiche, per correggere o rimpiazzare geni danneggiati o mancanti.
Le cellule così ingegnerizzate vengono poi sottoposte a un controllo di qualità, che può richiedere fino a 15 giorni di lavoro. Davanti a computer, con tecniche da laboratorio universitario, gli addetti verificano che i linfociti abbiano recepito le informazioni correttamente. A quel punto, se tutti i controlli sono positivi, le cellule vengono inviate nella stanza per la crioconservazione, in attesa di essere reinfuse nel paziente.
«I Car – spiega Riccardo Palmisano, Ceo di MolMed – hanno dimostrato di poter salvare fino all’80-85% dei pazienti con leucemia acuta, in particolare bambini e giovani adulti, rappresentando la più promettente prospettiva di cura contro il cancro». Prospettiva promettente ma ancora non priva di tossicità, anche gravi. Tanto che i ricercatori della MolMed, per primi, hanno pensato di inserire, nelle cellule “armate” contro i tumori che vengono reinfuse nel paziente, un gene suicida. «In caso di reazione avversa durante la reinfusione – spiega Giuliana Vallanti, direttore sviluppo & controllo qualità di MolMed – si somministra un farmaco antivirale che permette di eliminare i linfociti ingegnerizzati da Car-T». Di fatto, le cellule si suicidano, il trattamento si interrompe e con esso la sua tossicità.
Il 90% dei dipendenti di MolMed è laureato, l’80% ha un master post laurea. Molti provengono dall’industria farmaceutica, come Michele Manfredini, responsabile della produzione Gmp. Spetta a lui coordinare le attività per trasformare in prodotto le intuizioni degli scienziati. Una sfida ardua, dal momento che spesso i processi utilizzano macchinari nati per altri scopi. «Chi ha sviluppato le macchine e le tecnologie che utilizziamo, fino a oggi ha pensato più alla scienza che all’industria farmaceutica», spiega. Quelle sfruttate da MolMed sono infatti conoscenze ottenute con attività di ricerca su piccoli lotti. L’obiettivo produttivo non era fino a oggi una priorità. «Per questo, chi lavora in MolMed non deve solo conoscere bene la biologia, ma deve anche avere una visione aperta per individuare nuove procedure industriali con tecnologie nate anche per altri usi», aggiunge Manfredini.
L’essere una terapia personalizzata sul singolo paziente non solo pone problemi di processi industriali, ma anche di costi, che per le terapie Cat-T possono arrivare fino a 550mila euro a paziente. Ponendo un tema di sostenibilità sul lungo periodo.
Su questo fronte MolMed ha una pipeline basata non più sull’uso dei linfociti T (che si possono reinfondere solo nel paziente da cui provengono) ma sulle più versatili cellule NK (natural killel): ottenute da un donatore sano e ingegnerizzate, queste cellule potrebbero curare più pazienti. A questo filone di ricerca lavora la ricercatrice Sara Trifari, research supervisor in MolMed. Un cervello tornato in Italia dopo aver lavorato tra il 2007 e il 2018 nella silicon valley delle terapie avanzate che sorge in California, tra San Francisco e San Diego. E che oggi, tra Bresso e Milano, ha il compito di scoprire come ingegnerizzare le cellule di un donatore sano per “armarle” e renderle capaci di curare il maggior numero di pazienti possibile.
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