Ci sono - già stanziati e pronti per essere spesi - 14 miliardi in cinque anni, dal 2019 al 2023, per investimenti nel trasporto pubblico locale. Una svolta finanziaria maturata fra il 2016 e il 2018 che da quest’anno comincia a dare i suoi frutti, se anche una città come Roma, dove l’Atac ha rischiato il fallimento, comincia a vedere per strada qualche bus nuovo. Gli investimenti possono rivoluzionare la mobilità urbana, ridurre i gap trentennali con l’Europa su gestioni e servizi, liberare le città e le economie urbane dai gravissimi effetti del degrado ambientale e della congestione.
Ma uno dei grandi finanziatori del sistema locale, la Cassa depositi e prestiti, ha realizzato con l’Area ricerca e studi il rapporto «Ripartire dal trasporto pubblico» e si spinge ora a guardare oltre gli effetti settoriali degli investimenti in Tpl, evidenziando - con dati inediti - i ritorni macroeconomici, forse ancora più rilevanti, in termini di valore aggiunto e occupazione.
La tesi del rapporto è che per un’economia che ha un grande bisogno di rilanciarsi rapidamente attraverso la leva degli investimenti, il Tpl è la strada giusta: grazie a un moltiplicatore molto elevato che traduce mediamente un euro investito nel settore in 1,52 euro di benefici per l’economia. In questo schema, ottenuto con le tavole input-output di Leontief, adatte a calcolare gli effetti “ramificati” sui settori dell’indotto e sull’occupazione, i 2,8 miliardi annui di investimenti finanziati (aumentabili almeno a tre miliardi con le ulteriori risorse del Fondo investimenti 2018 e 2019 non inserite nel conteggio) produrranno un valore aggiunto di 4,3 miliardi (lo 0,2% del Pil) e 110mila posti di lavoro annui (0,5% dell’occupazione).
L’investimento nel Tpl, soprattutto in nuovi mezzi, si traduce rapidamente in servizi ai cittadini, maggiori introiti per le aziende, più lavoro, più consumi, minore congestione del sistema urbano della mobilità (che si traduce subito in aumento della produttività): linfa che entra rapidamente nel circolo virtuoso dell’economia, più delle infrastrutture pesanti o altri investimenti.
In Italia l’1,6% della spesa delle famiglie, il 5,2% in Uk
Oltre l’impatto macroeconomico, c’è poi la sfida settoriale. Cassa depositi e prestiti considera la forte iniezione di investimenti
l’unica strada percorribile per superare un quadro di gestione e servizi che, rispetto agli altri Paesi europei, resta largamente
in ritardo. Restiamo il Paese con il biglietto più basso d’Europa e con la contribuzione pubblica più alta dopo la Francia.
Le famiglie italiane spendono l’1,6% del proprio reddito mensile nella mobilità collettiva contro il 5,2% del Regno Unito,
il 2,6% della Spagna, il 2,4% di Francia e Germania. Il contributo pubblico medio a chilometro è di 2,19 euro contro 1,21
del Regno Unito e 1,24 della Spagna. È vero che in Francia il sostegno pubblico è di 3,49 euro a chilometro, ma a Parigi il
75% degli spostamenti avviene con il mezzo pubblico mentre nelle città italiane si sta sotto il 30% (con le eccezioni di Genova
al 44% e Milano al 48%). A pagare per un sistema di scarsa qualità è sempre più il cittadino contribuente e meno l’utente.
E nella qualità del servizio pesa il parco autobus vecchio (12,8 anni) e inquinante (il 42% dei mezzi urbani e il 61% dei
mezzi extraurbani restano di modello inferiore a Euro4).
Resta anche la polverizzazione dell’offerta, molto più alta che negli altri servizi pubblici. Le aziende presenti nel settore
sono 930, con 124mila addetti. I primi venti operatori generano il 52,5% del fatturato, alcuni con quote inferiori al 2%.
Per non parlare della congestione urbana, fattore che abbatte il livello di produttività italiana. La ricerca Cdp cita la
recente stima di Confcommercio secondo cui «nei principali centri urbani italiani si viaggia a una velocità media che ricorda
quella del ‘700, pari a circa 15 km/h, dato eclatante che si contrae ulteriormente fino a circa 7-8 km/h se si considerano
le ore di punta».
Record di congestione a Roma: perse 254 ore l’anno
Il caso di Roma resta quello più drammatico. Secondo l’indice Inrix, «nel 2018 gli abitanti di Roma hanno perso 254 ore nel
traffico, essendo la seconda città al mondo, dopo Bogotà, dove si trascorrono più ore nel traffico. Anche il resto d’Italia
non si posiziona bene. Sono ben 5 le città italiane nella classifica delle prime 25 città al mondo per ore perse nel traffico.
Oltre a Roma, si tratta di Milano (7° posto), Firenze (14°), Napoli (17°) e Torino (23°)».
Cdp sostiene, però, che stavolta dagli investimenti può arrivare la svolta. «L’offerta è la variabile chiave per influenzare
la domanda», afferma la ricerca ricordando che nuovi autobus (meno inquinanti e capaci di garantire un servizio più regolare),
nuove linee metropolitane, ferrovie riconvertite al servizio urbano creano rapidamente nuovi passeggeri per il servizio pubblico,
riducendo il traffico privato di auto. La ricerca riporta alcuni casi di successo. «Le esperienze recenti - afferma - mostrano
che laddove si potenzia il servizio offerto, la domanda aumenta. Si pensi alla tramvia di Firenze, per la quale all’inaugurazione
si stimavano flussi di traffico di circa 15.000 passeggeri/giorno e che oggi trasporta quotidianamente oltre 30.000 persone.
O all’Alto Adige dove, dopo aver investito in nuovi treni e reso più frequenti le corse, si è visto triplicare il numero dei
passeggeri dagli 11.000 giornalieri del 2011, ai 32.000 del 2018».
Ma facciamo un passo indietro, la svolta 2016-2018 nel finanziamento degli investimenti avviata dall’ex ministro Delrio e destinata a produrre effetti di lungo periodo. Una politica che continua quest’anno con la legge di bilancio 2019 del nuovo governo e il Fondo infrastrutture 2019 che assegna al Mit - nella prima ripartizione del Mef - altri 16,1 miliardi in 15 anni, tre nel quinquennio 2019-2033 (una quota andrà agli investimenti in Tpl). Non manca qualche preoccupazione per il congelamento previsto di 300 milioni del Fondo nazionale per il trasporto locale che finanzia la gestione con la contribuzione ai servizi e alle aziende (si veda l’articolo in pagina).
Il rapporto Cdp fa il punto a bocce ferme. «Le risorse pubbliche totali stanziate - nota la ricerca Cdp - cominciano a essere significative e pari a oltre 22 miliardi di euro per il periodo 2017-2033, disponibili su un orizzonte pluriennale e scandite nel tempo in modo da imprimere già nei primi anni uno stimolo al settore». Circa 6,3 miliardi tra il 2018 e il 2033 vanno all’acquisto di bus diesel, a metano ed elettrici con le relative infrastrutture di supporto (colonnine per le ricariche); 2,4 miliardi tra il 2017 e il 2022 al rinnovo del parco treni; 372 milioni tra il 2017 e il 2033 alla flotta navale (per esempio i vaporetti di Venezia); 13,6 miliardi tra il 2018 e il 2025 per infrastrutture metropolitane, tranviarie e trasporto rapido di massa.
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