BRUXELLES - L’economia europea sta attraversando un evidente rallentamento, segnato da tensioni commerciali, incertezza politica, la minaccia di un hard Brexit e una crisi industriale in Germania, secondo la Commissione europea che ieri ha pubblicato attese previsioni economiche. La Germania e l’Italia sono i paesi a soffrire di più, per motivi diversi, mentre l’Est Europa continua in un percorso di recupero economico a 15 anni dall’allargamento dell’Unione.
Sul fronte congiunturale, la Commissione si aspetta una espansione dell’economia della zona euro dell’1,2% nel 2019, rispetto all’1,9% messo a segno nel 2018. La disoccupazione è ai minimi storici e il 2019 dovrebbe essere il settimo anno consecutivo di crescita economica nell’unione monetaria, che non ha dimenticato né la recessione del 2008, né la crisi finanziaria del 2011. In calo è il debito pubblico a livello aggregato: nella zona euro dall’87,1% nel 2018, all’85,8% nel 2019 all’ 84,3% nel 2020.
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«L’economia europea continuerà a crescere nel 2019-2020 – ha detto il commissario agli affari monetari Pierre Moscovici -. La crescita rimarrà positiva in tutti gli stati membri della zona euro». Al tempo stesso, secondo il vice presidente della Commissione Valdis Dombrovskis, permangono «rischi pronunciati». Tra questi: «guerre commerciali», «la debolezza dei mercati emergenti», «il rischio di un hard Brexit», «l’incertezza politica» e «un possibile ritorno del circolo vizioso tra bilancio statale e bilanci bancari».
Lo sguardo corre proprio ai rischi. Il commissario Moscovici ha messo l’accento sui pericoli insiti nel protezionismo in un contesto segnato dall’unilateralismo delle scelte americane e dalle perduranti tensioni tra Washington e Pechino. Proprio questo aspetto pesa sulle previsioni di crescita della Germania, il cui export è penalizzato dalla crisi del multilateralismo. Secondo la Commissione, il prodotto interno lordo tedesco crescerà di appena lo 0,5% nel 2019 (rispetto all’1,4% del 2018).
La frenata tedesca è da attribuire alle incertezze internazionali, ma anche alla crisi del settore automobilistico, impreparato dinanzi alla transizione energetica. «L’export è calato in modo pronunciato nel 2018 e rischia di recuperare terreno solo gradualmente nel 2020», si legge nel rapporto di primavera della Commissione europea. «La ripresa economica potrebbe essere più lenta del previsto». La stima di crescita della Germania (0,5%) non è lontana da quella dell'Italia (0,1%).
A fronte del rallentamento tedesco è da notare la forza delle economie in Europa dell’Est. Mentre in Europa occidentale il tasso di crescita dei paesi ricchi è sotto o intorno al 2,0%, nei paesi dell’allargamento il ritmo della congiuntura oscilla vicino al 3,0%. L’economia cresce a tassi elevati in Lettonia, in Polonia (4,2%), in Ungheria, in Slovacchia, in Romania, in Bulgaria. Prosegue il processo di catching-up, ossia di recupero dell’attività economica dopo cinquant’anni di comunismo.
Come spiegare la continua crescita di questi paesi, mentre il loro più importante partner, la Germania, è invece in difficoltà? Secondo la Commissione, lo shock manifatturiero è stato in parte compensato dalla domanda interna e dal perdurante arrivo di fondi strutturali. I paesi meno sviluppati hanno ricevuto in questi anni più dell’80% dei finanziamenti. L’analisi comunitaria dimostra che i fondi influenzano sia la struttura dell’economia a lungo termine che la crescita nel breve periodo.
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