Arcelor Mittal Italia apre al ministro dell’Ambiente, Sergio Costa, e si dice pronta a collaborare per il riesame dell’Autorizzazione integrata ambientale per il siderurgico di Taranto, ma lancia anche un segnale preoccupante sul mercato dell’acciaio perché non va affatto bene. Così Matthieu Jehl, amministratore delegato della società che dallo scorso novembre è subentrata all’amministrazione straordinaria Ilva dopo il contratto firmato a giugno di due anni fa e il via libera del Governo lo scorso settembre.
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Apertura al dialogo con Comune e ministero
Jehl parla 24 ore dopo l’annuncio di Costa che adesso per l’acciaieria più grande d’Europa vuole prescrizioni ambientali più
adeguate per tutelare meglio la salute dei tarantini ed ha accolto la richiesta del sindaco Rinaldo Melucci che gli ha evidenziato
una serie di criticità. Ma oltre a manifestare disponibilità a discutere con Costa, Jehl ribadisce che l’azienda vuole regole
certe e non trovarsi difronte a cambiamenti continui, visto che il piano ambientale è stato approvato con decreto del presidente
del Consiglio a settembre 2017 e a settembre scorso l’addendum lo ha migliorato.
Servono regole certe, non continui cambi
«Come ArcelorMittal - spiega l’ad - abbiamo preso un impegno e fatto un contratto per Ilva con un certo quadro di leggi. Questo
è chiaro. Dobbiamo andare avanti con la certezza che questo quadro c’è. Noi siamo sempre aperti per parlare e a collaborare
in modo trasparente sui dati. Dal momento che c’è una Vds, una Valutazione del danno sanitario, siamo impegnati a collaborare
sulla Vds. Nessun problema a parlare col ministero dell’Ambiente e con tutte le autorità. Certezza della legge, ma da parte
nostra c’è apertura - prosegue l’ad di Arcelor Mittal Italia -. E quando c’è volontà di affrontare le domande, le affrontiamo
insieme. Affrontiamo ogni giorno i problemi perché, lo dico senza esagerare, siamo il sito più monitorato di Europa. Tutti
i giorni c’è una discussione con l’Arpa, l’Asl e il ministero dell’Ambiente. E sono contento di questo, lo dico onestamente.
Abbiamo preso degli impegni e vogliamo dimostrare a tutti che i lavori li facciamo».
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Alla domanda se le prescrizioni più stringenti in arrivo sull’Aia preoccupino Arcelor Mittal Italia, Jehl risponde: «È troppo presto per discutere su questo, le cose sono arrivate ieri, dobbiamo prima capire. Abbiamo visto che ci sono domande, il ministro Costa però ha anche detto cose molto importanti, ha detto che il lavoro si fa. Per il resto ci sono delle domande, le guardiamo e vediamo come possiamo collaborare».
Obiettivo zero emissioni nel 2050
«Il nostro obiettivo è zero emissioni entro il 2050» annuncia l’ad Jehl. E proprio oggi la multinazionale, rilanciando quest’obiettivo,
ha dichiarato che si sta predisponendo una roadmap strategica con un obiettivo intermedio di riduzione delle emissioni che
verrà fissato il prossimo anno. Un obiettivo che migliorerà quello di ridurre il carbonio nella misura dell’8 per cento che
nel 2007 era stato fissato per il 2020. «Siamo convinti che per arrivare a zero emissioni serva una combinazione di soluzioni
- spiega Jehl -. A livello di gruppo ci sono almeno dieci differenti soluzioni molto innovative. Stiamo cercando il migliore
mix. Questo è il vantaggio di essere gruppo. Abbiamo otto stabilimenti sul ciclo integrale come Taranto. Possiamo fare quindi
progetti diversi. Abbiamo preso l’impegno di una riduzione di meno 15% di CO2 nel contratto. E dobbiamo arrivarci nel 2023.
Abbiamo preso quest’impegno perché sappiamo che ci sono già soluzioni per arrivarci. L’obiettivo della decarbonizzazione è
chiaro per noi, come è chiaro per l’Europa». Jehl quindi aggiunge: «Quello per lo stabilimento di Taranto è il piano ambientale
più ambizioso al mondo. Un piano ambientale così non è mai stato fatto».
La difficile situazione di mercato in Europa
Il mercato è però una nota molto dolente. Arcelor Mittal non ha tagliato la produzione a Taranto, operazione invece fatta in Spagna e Polonia per 3 milioni di tonnellate – e mercoledì ha pure programmato ulteriori tagli in Francia e Germania –, ma a Taranto il passaggio a 6 milioni di tonnellate,
che è il livello produttivo autorizzato, è per ora rinviato all’anno prossimo. Quest’anno ci si assesterà su 5 milioni. Certo,
ammette Jehl, c’è da rimettere in efficienza il siderurgico dove «il livello di performance qualitativa non è ancora quello
giusto», però la frenata del mercato («che è cambiato») c’è e si avverte. L’ad individua tre motivi di fondo: il rallentamento
dell’industria dell’auto, grande utilizzatrice di acciaio (per Arcelor Mittal pesa complessivamente il 30%, molto meno per
Taranto, solo 50mila tonnellate su 5 milioni totali), l’aumento dei costi delle materie prime (una tonnellata di minerale
è passata da 80 a 100 dollari) e il blocco delle esportazioni negli Usa. «Abbiamo chiesto che tutto l’acciaio che prima si
rivolgeva al mercato americano - rileva Jehl - non rifluisca adesso su quello europeo». E alla domanda se per affrontare meglio
il mercato, Arcelor Mittal stia per caso pensando a nuove integrazioni ed alleanze con altri produttori sul modello Fca-Renault-Nissan,
Jehl sostiene: «Non sono valutazioni che posso fare io. Noi ci siamo molto impegnati con l’acquisizione di Ilva, ora dobbiamo
concentrarci per portare questa realtà ai livelli di qualità e di efficienza necessari».
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