C’è un’Italia del vino, medaglia d’argento mondiale delle esportazioni dietro alla Francia. E poi c’è un’Italia dei liquori: più piccola per fatturato aggregato, ma più rampante. E a sorpresa, garantisce a chi li produce margini di ricavi superiori al vino. Lo dicono i dati del nuovo Osservatorio Wine & Spirits che oggi Federvini lancia in occasione della sua assemblea annuale: il rapporto tra Ebit e fatturato in Italia è del 9,3% per il vino, e del 17,1% per i liquori.
È un mondo variegato, quello dei cosiddetti spirits: comprende le grappe, i distillati - come il gin o il rum - e tutti i liquori, che spaziano dal Nocino all’Aperol. Ed è un mondo in movimento, soprattutto sul fronte dell’export: «Tradizionalmente - spiega Sandro Boscaini, presidente di Federvini - siamo sempre stati forti nell’export di liquori per il dopo pasto. Non c’è consumatore di alcolici al mondo, per intenderci, che non conosca il Fernet Branca. Negli ultimi anni, però, siamo cresciuti molto soprattutto nell’esportazione di liquori per gli aperitivi. Come l’Aperol, o il vermouth». In percentuale, siamo cresciuti addirittura più della Francia, che con 4,5 miliardi di euro è il secondo esportatore di liquori al mondo. Tutto merito dei Millennials: dall’Europa agli Stati Uniti sono i giovani, con i loro happy hour, a decretare il successo dei cocktail a base di made in Italy.
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Quanto vale la Spritz-economy? In Italia fattura 4,3 miliardi, dicono i dati del nuovo Osservatorio, che per la prima volta mette insieme due expertise storiche nel settore vinicolo come quella di Nomisma e quella di Mediobanca. L’export, invece, ammonta solo a 970 milioni di euro: sei volte meno di quello del vino made in Italy, che l’anno scorso ha incassato 6,2 miliardi di euro. Nella classifica dei maggiori esportatori al mondo di liquori siamo ottavi, e ben lontani dai primi in classifica, gli inglesi, che all’estero vendono oltre 6,7 miliardi all’anno grazie principalmente allo scotch.
Eppure, le nostre esportazioni di distillati e liquori sono in aumento: negli ultimi dieci anni, in media, sono cresciute del 7,4% all’anno, mentre il nostro vino è aumentato in media del 5,4%. Se però escludiamo i distillati e guardiamo solo ai liquori, con 405 milioni di euro l’Italia è al secondo posto nella mappa globale dell’export, appena dietro la Germania, grazie al terreno conquistato soprattutto negli Stati Uniti, in Gran Bretagna e in Francia.
All’interno del nostro Paese il grosso dei consumi è ancora legato al dopo pasto: l’82% di chi acquista un liquore (che sia al supermercato oppure al bar) lo fa per consumare un amaro, mentre solo il 10% associa questi alcolici all’aperitivo. La quota è bassa persino tra i Millennials: che sono sì più propensi all’happy hour rispetto ai quaranta-cinquantenni, ma con una percentuale che sale solo al 14%.
Se Stati Uniti e Gran Bretagna sono due aree chiave per le esportazioni made in Italy non solo del vino, ma anche dei superalcolici, appare chiaro come il primo dossier sul tavolo di Federvini oggi riunita in assemblea sia il tema dei dazi: «Le minacce provenienti da Washington ci preoccupano per le nostre esportazioni - spiega il presidente Boscaini - ma siamo preoccupati anche per le contromosse dell’Unione europea. Perché i liquori hanno una filiera lunga, che non ha solo l’uva come sua unica materia prima, ma anche le erbe, l’orzo, lo zucchero. E i dazi possono incidere anche sulla base della filiera». Anche le incognite sulla Brexit pongono qualche interrogativo ai produttori di vino e di alcolici italiani, perché se non porteranno proprio ai dazi, quanto meno creeranno rallentamenti amministrativi in uno dei mercati più importanti per l’export italiano di settore. Così come naturalmente anche Federvini dice no all’aumento dell’Iva.
Boscaini oggi porterà all’attenzione dei suoi associati anche altri due temi. Uno è quello della proprietà intellettuale: «Molti dei nostri vini sono tutelati negli accordi commerciali internazionali perché sono Doc o Ig, ma la maggior parte dei liquori non lo sono. Per questo è importante alzare l’asticella della loro tutela». Il secondo tema è quello della Pac, e l’appello del presidente di Federvini in questo caso va dritto alla politica: «L’Italia deve essere protagonista nella ridefinizione della politica agricola europea, data l’mportanza che il settore riveste per il nostro Paese. Spero solo che l’esito di queste elezioni non ci penalizzi».
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