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Milano è start-up town: ne nasce una al giorno

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INNOVAZIONE

Milano è start-up town: ne nasce una al giorno

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«Come mai? Perché è un ambiente che attrae: qui troviamo tutto».
E il “tutto” che serve a Danilo Vuono in effetti non è banale. Perché per far decollare Innovacarbon, la start-up (nanotecnologie per filtri adsorbenti) avviata dall’ingegnere chimico insieme ai suoi tre soci, servono risorse finanziarie, infrastrutture che facilitino il lavoro, laboratori, università che producano i nuovi talenti da assumere, naturalmente clienti.

Per trovare questi ingredienti Danilo non ha esitato a spostarsi, trasferendosi da Cosenza a Milano, spostamento a lunga gittata ma non certo isolato.

La start-up di Danilo è infatti solo una delle 194 imprese innovative che nel corso dei primi cinque mesi del 2019 ha aperto i battenti nella metropoli: più di una nuova attività registrata ogni giorno, sabati e domeniche inclusi.

Se da sempre Milano primeggia in questa classifica (su 100 Pmi innovative italiane ben 18 sono localizzate qui), gli ultimi dati evidenziano un’accelerazione del processo, con Milano in grado di attrarre più del 20% delle 965 realtà innovative che hanno avviato l’attività in Italia nei primi cinque mesi del 2019. Si tratta di aziende più strutturate della media (i ricavi sono 300mila euro, il doppio del dato italiano), con 74 realtà del territorio ad avere già più di dieci addetti, il 10% un capitale sociale oltre i 100mila euro.

Per fare cosa? La stragrande maggioranza (un migliaio) è attiva nell’area dei software e e dei servizi informatici, anche se non mancano attività di ricerca e sviluppo (180) e realtà manifatturiere tra macchinari, elettronica, apparati elettrici, chimica ed alimentari.

Aziende che non affrontano certo sul territorio una traversata nel deserto. Perché tra laboratori e centri di ricerca, aree di co-working e vetrine hi-tech, incubatori e hub di accelerazione, l’ultima mappatura disponibile identifica per Milano ben 130 luoghi dell’innovazione, anche se il rischio è quello di ragionare per difetto.

Accelerazione vorticosa legata anche all’ingresso sul terreno di gioco di nuovi protagonisti, aziende tradizionali che imboccano la strada dell’open innovation andando oltre la ricerca interna per aprirsi invece a nuove contaminazioni. Edison, ad esempio, trasferisce così nell’incubatore del Politecnico (Polihub, terzo al mondo, un’eccellenza globale) parte della propria ricerca, UniCredit consolida il proprio programma Start Lab per sostenere nuove iniziative (dal 2014 la piattaforma di open innovation ha valutato 4700 business plan), Tim rilancia sulla propria piattaforma WCap (dal 2009 10500 progetti valutati, più di 300 supportati economicamente).

Difficile distinguere la causa dall’effetto: quel che è certo è che nella metropoli si sia avviato un circolo virtuoso che coinvolge multinazionali e aziende italiane, università, aspiranti imprenditori. Che in termini “fisici” si traduce nella vorticosa fase di trasformazione urbana visibile in città (si veda articolo a fianco), in termini economici nello sviluppo esponenziale di nuove attività e idee imprenditoriali. Percorso che ha trovato nel successo di Expo un punto di svolta evidente e che pure da allora è in grado di autoalimentarsi e sostenersi anche in assenza di grandi eventi o di fatti straordinari.

L’arrivo dell’Ema avrebbe certo rappresentato la classica “ciliegina”, che tuttavia non modifica il quadro di fondo, con la città intenzionata a consolidare i propri punti di forza tradizionali (moda, design, consulenza e finanza) ma impegnata pesantemente anche in nuovi percorsi, costruiti attraverso collaborazioni un tempo impensabili.

Come quella avviata tra Università Bocconi e Politecnico di Milano, in partnership per sostenere e sviluppare le start-up mettendo a sistema competenze tecnologiche a capacità manageriali e avviando anche percorsi di formazione comuni. O come accade nella medicina, con l’accordo tra Humanitas University e Politecnico di Milano per un nuovo corso di laurea che fonde medicina-chirurgia con ingegneria biomedica. Atenei che peraltro continuano pesantemente ad investire, come testimoniano il nuovo campus della Bocconi, la rinascita della Bovisa grazie al Politecnico, l’ampliamento dell’Humanitas, il progetto della Statale nel sito di Expo. Anche in termini economici la risalita è evidente. Con il Pil di Milano (il 9% del totale nazionale) lievitato tra 2014 e 2018 del 10,4%, più del doppio rispetto alla media nazionale e ora ampiamente al di sopra del livello pre-crisi, contrariamente al resto del Paese. In parallelo si è ridotto di due punti il tasso di disoccupazione, arrivato a fine 2018 al 6,4%, quasi la metà rispetto alla media nazionale. Anche se il punto di forza è nei servizi, la localizzazione a Milano di molte aziende di grandi dimensioni (91 fatturano oltre un miliardo di euro) mette il capoluogo al vertice anche in termini di export, con 44 miliardi nel 2018, poco meno del 10% rispetto al totale nazionale. Merito delle imprese italiane ma anche delle tante multinazionali presenti: oltre 4200 (un terzo di quelle attive in Italia), capaci di sviluppare più di 200 miliardi di giro d’affari con 431mila addetti. Esito di una capacità di attrazione ben visibile nei dati degli investimenti: dei 1331 progetti esteri “greenfield” attratti dall’Italia nel periodo 2008-2017, oltre 400, un terzo del totale, è localizzato infatti proprio a Milano.

Che attrae i “grandi” ma che pare in grado di accompagnare anche i “piccoli”. Come dimostra il caso dell’ormai ex start-up Digital360, nata nel 2011 e oggi arrivata a oltre 22 milioni di ricavi con 230 addetti. I motivi? Andrea Rangone, ceo dell’azienda, la pensa in fondo come lo startupparo calabrese appena partito con Innovacarbon. «Clienti a chilometro zero, talenti da assumere, finanza per crescere. Il vantaggio di Milano - sintetizza Rangone - è che qui in effetti una start-up può trovare tutto».

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