Da un anno in Giappone è stato introdotto un nuovo codice sulla corporate governance che sollecita la presenza di membri esterni e indipendenti nel board della aziende, al fine ultimo di determinare nelle decisioni societarie un più ampio respiro che tenga in maggior conto le esigenze degli azionisti. È quindi tempo di bilanci su questo punto: siamo ancora in una situazione di chiaroscuro, con alcuni miglioramenti evidenti ma anche difficoltà palesi.
Secondo i dati forniti dalla Borsa di Tokyo, i membri cosiddetti indipendenti dei board (indipendenti dal management aziendale, insomma, almeno in teoria) hanno raggiunto quasi un quinto del totale, con un aumento di 700 unità a 6.200 circa nelle società quotate. Il trend appare in ulteriore espansione. Delle oltre 1.500 aziende quotate nella prima sezione del Tokyo Stock Exchange, solo 37 alla fine dell’esercizio (inizio aprile 2016) risultavano senza «outside directors». Quasi tutte, però, hanno già dato il via libera a risoluzioni per nominare membri esterni nei loro board, che dovrebbero essere approvate nelle assemblee degli azionisti di questo mese.
Alcuni analisti hanno attribuito a questa tendenza una parte del fenomeno per cui le politiche aziendali sono diventate in generale più «shareholders friendly»: meno partecipazioni incrociate e dividendi più alti. Altri però sottolineano che varie aziende hanno di fatto aggirato lo spirito della legge: ad esempio nominando come membri esterni persone che facevano da auditors o comunque legate al top management (spesso dirigenti di società fornitrici). Inoltre cominciano a manifestarsi anche il Giappone casi di “professionismo” nella partecipazioni ai board, con persone che incamerano questi incarichi in più aziende senza veramente avere la volontà o persino il tempo di dedicarsi a dare un contributo chiaro alle singole aziende.
Sullo sfondo, la questione fondamentale resta una: i membri indipendenti del board sono davvero in grado di conoscere, valutare e sindacare le maggiori decisioni aziendali? Non sempre è così, come è emerso da alcuni scandali, ad esempio quello di Toshiba (bilanci truccati).
Secondo il Daiwa Institute of Research, l’importante è che gli outside directors siano davvero coinvolti nel dibattito su importanti decisioni di business, diventando interlocutori-chiave del top management. Altrimenti, il rischio è che le cose cambino perché tutto rimanga com’è.
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