TOKYO – Mercoledì 22 giugno dalla National Convention Hall di Yokohama uscirà una notizia che sarà tra le più citate della giornata: la paga di Carlos Ghosn, il chief executive di Nissan Motor (oltre che di Renault). In occasione dell’assemblea degli azionisti, in Giappone vengono resi pubblici i compensi dei singoli top manager se eccedono i 100 milioni di yen. Il compenso annuale di Ghosn l’anno scorso ha superato per la prima volta il miliardo di yen (9,5 milioni di dollari): da anni la sua paga finisce per diventare oggetto di intense discussioni e critiche non solo da parte di alcuni azionisti, ma nell’intero Paese: è giusto strapagare i top manager? È un tema di corporate governance che coinvolge da anni l’opinione pubblica, anche se il Sol levante ha una tradizione di allergia agli eccessi che dominano ancora il capitalismo di stampo anglosassone.
Gli stranieri hanno fatto da battistrada ai supercompensi, tanto che proprio l’anno scorso Ghosn – da anni in testa alla classifica – è stato ampiamente superato da un manager di origini indiane: Nick Arora, chief operating officer di Softbank Group, che il patron del gruppo Masayoshi Son ha voluto gratificare con una cifra-monstre di 8 miliardi di yen per assicurare un erede al vertice dell’impero delle telecom che ha costruito dal nulla. Il Coo di Softbank, l'hanno scorso, ha dunque incassato più del numero uno Son.
L’anno scorso sono stati 408 i dirigenti che hanno superato la soglia della “disclosure” di 100 milioni di yen. Per singole aziende, in testa è Mitsubishi Electric, con 23 executive sopra questo livello di compensi, seguita da Fanuc con 11. Dal punto di vista degli azionisti la questione si interseca con quella – anch’essa in evoluzione - della correlazione tra paghe e risultati ottenuti. Almeno l’80% dei compensi dei top manager – tra stipendio base e benefit – è fissa, ma il nuovo codice di corporate governance preme perché la proporzione legata ai risultati di medio periodo aumenti, stimolando l’introduzione di un bilanciamento tra cash e conferimento di azioni e opzioni sui titoli aziendali.
Così molte società stanno introducendo programmi di compensi ai massimi dirigenti più dipendenti dai risultati finanziari societari, con indicatori che variano (dal periodo di riferimento agli stessi parametri di performance).
Restano poi alcune caratteristiche specifiche del sistema giapponese. In caso di bilanci miseri, specie se connessi a scandali, è consuetudine che i massimi dirigenti non solo si scusino pubblicamente, ma si taglino la paga per «assumersi la responsabilità». Peccato che questa peculiarità giapponese non si diffonda all’estero.
Un’altra specificità, invece, non ha motivo di essere imitata. Anche se molto ridotto rispetto ai tempi della bubble economy, rimane relativamente diffuso il costume di portare clienti e partner nei night bar dove giovani ragazze fanno compagnia, versando da bere e accendendo sigarette. Un fenomeno che induce molti ingenui occidentali a pensare: «Che stupidi questi uomini giapponesi, che spendono migliaia di euro senza che poi la serata finisca in gloria». Alla fine, infatti, le ragazze accompagnano gli avventori al taxi liquidandoli con profondi inchini.
Ma non sono poi così fessi: fanno fessa l’azienda, che paga. Personalmente, non pagano. Se ne è accorto il presidente italiano di una società giapponese appena acquisita: diventava matto a vedere le note spese del Ceo giapponese per le frequentissime uscite notturne. E alla fine l’ha liquidato, con un esempio di corporate governance internazionale sintetizzabile con la frase «Accà nisciuno è fesso». Anche questo è management.
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