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Masayoshi Son, il manager-azionista che piace molto agli occidentali

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appunti da tokyo

Masayoshi Son, il manager-azionista che piace molto agli occidentali

TOKYO- Il top manager di copertina, da settimana scorsa, non può che essere Masayoshi Son detto Masa, fondatore, e Ceo-patron di Softbank: il più coraggioso capitano d’impresa del Giappone, che continua a stupire il mondo con le sue scommesse multimiliardarie. Provate voi a sedere su debiti per circa 100 miliardi di dollari e fare una puntata su una acquisizione da 32 miliardi di dollari, come quella annunciata lunedì scorso sulla britannica ARM Holdings (il maggior takeover di sempre su una società europea del settore tecnologico).

Nato in una famiglia di Zainichi (coreani con residenza in Giappone), Son è un uomo che ha sempre fatto di testa sua, fin da quando decise giovanissimo di recarsi negli Usa e di studiare in California. Un top manager che prende decisioni anche a fiuto, su idee che lui stesso definisce un po’ pazze. Un individuo che ha dovuto farsi strada anche contro un establishment ostile, fino a minacciare di darsi fuoco davanti al ministero delle telecomunicazioni a Tokyo se non l’avesse smessa di favorire sfacciatamente l’ex monopolista NTT. Uno che ha chiamato come suo vice ed erede un asso della Silicon Valley come Nikesh Arora, dandogli uno stipendio molto superiore al suo, ma che non ha esitato a scaricarlo dopo poco più di un anno anche per affermare il suo esclusivo potere sull’azienda.

Se la tappa fondamentale della sua ascesa fu l’acquisizione di Vodafone Japan dieci anni fa, ora appare meno interessato al business classico delle telecomunicazioni, forse anche per le delusioni che gli ha portato la maxiacquisizione dell’americana Sprint. Il futuro di Softbank, ha detto, sta in tre settori: intelligenza artificiale, robot intelligenti e «Internet delle Cose». In questo senso, i chip disegnati da Arm rappresentano per lui un pilastro fondamentale della strategia di crescita, in quanto al centro dei processi di networking con cui l’Internet of Things cambierà la vita delle persone e delle imprese.

Son ha fatto anche errori, come Sprint, non calcolando ad esempio la difficoltà che passasse il vaglio dell’Antitrust la sua idea di fonderla con un altro gestore Usa. E il titolo di Softbank ha reagito inizialmente con un calo del 10% alla notizia di una mega-acquisizione in Gran Bretagna (la stessa premier Theresa May ha ringraziato Son per aver dato un segnale globale di fiducia post-Brexit) che rende la società troppo “leveraged”, anche dopo le recenti maxicessioni per circa 17 miliardi di dollari (quote di Alibaba e la partecipazione in Supercell).

La domanda è: perche' tanti occhiuti investitori internazionali continuano a fidarsi dell'«uomo solo al comando» che si autodefinisce promotore di idee un po’ folli? Una parte della risposta è nella sua storia personale e nel fatto che lui si distacca nettamente dal sistema prevalente in Giappone, dove molti Chief executive sono costituzionalmente riluttanti ad assumere rischi. Questo perché nel Sol Levante è ancora prevalente la schiera dei cosiddetti «sarariman-shacho»: la figura del Ceo-impiegato (salariato) fatta di gente entrata in azienda da giovane e che ha fatto carriera raggiungendo il vertice proprio perché attenta a non fare passi falsi. Manager, insomma, salariati, con niente o poche azioni dell’azienda in portafoglio.

Masa, invece, con il suo 19,2% di Softbank, rischia in proprio e questo tende a rassicurare gli azionisti. Secondo una diffusa mentalità anglosassone, più un manager ha soldi suoi nell'impresa e più cercherà di sprigionare valore per gli azionisti, anche con rischi calcolati; è il famoso “allineamento” dell’interesse dei manager con quello degli azionisti. Un’idea che può trovare appigli statistici. Un esempio: uno studio di Custom Product Research ha rilevato che le migliori performance di Borsa in Giappone sono state conseguite da società i cui manager hanno una più alta percentuale di quote societarie. Su un periodo di cinque anni, è stato riscontrato che le 50 aziende migliori in Borsa avevano in media l’11,2% del capitale controllato dai membri del board, mentre per le 50 peggiori la quota era dell'1,7 per cento. Son, insomma, è certamente un pò folle nelle sue scommesse multimiliardarie. Ma si fa perdonare gli azzardi e anche qualche sconfitta. Perché rischia in proprio e non solo con i soldi degli altri.

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