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Open leadership: l’azienda senza capi è una nuova idea del comando

Un'azienda senza capi è solo una provocazione mediatica? O un concetto buono per vendere consulenze a peso d’oro? O, invece, è una possibilità reale nell’evoluzione dell’organizzazione aziendale? Se queste domande si rivolgono a Paolo Bruttini, socio-analista e presidente della società di consulenza Forma del Tempo (nonché autore di testi quali Capi di buona speranza e Città dei capi e dell’Open Leadership Manifesto), la risposta porta ad approfondire un modello di management che fa il verso a una delle dinamiche alla base della rivoluzione digitale di processi, persone e cose. Se si parla di open innovation nel campo delle tecnologie, si parla di open leadership per descrivere il cambiamento in atto della figura del capo. Di questo concetto Bruttini è studioso ed “evangelist” e ne ha parlato al Sole24ore.com.

«È un'avventura – spiega l’esperto - che prende corpo fra il 2008 e il 2009, quando il peso della cultura della Rete si fa sentire attraverso fenomeni come Wikipedia. Esprime la possibilità di massimizzare la democrazia della conoscenza all’interno dell'impresa, partendo dal presupposto che l’impresa intesa come soggetto sociale, e non meramente economico, è un passaggio reale. Il capitale sociale è il fondamento dei nuovi modelli di leadership centrati sulla cultura della Rete, dell’integrazione e dell’accettazione dell’errore come elementi di crescita ed innovazione. L’analisi dei legami relazionali costituisce il principio per la creazione del benessere organizzativo e se c'è benessere organizzativo l’azienda va verso una più efficiente performance economica. L’open leadership, sostanzialmente, è una nuova idea di potere».

Proviamo a concretizzare il concetto. Ai nuovi leader non viene più solo richiesto di comandare e controllare, ma di mettere in discussione la propria idea verticale di potere a favore di una tipologia di leadership più orizzontale, condivisa, distribuita e aperta. Per raggiungere questo obiettivo è necessario adottare una visione che contempli il senso di comunità e supporto reciproco e fare proprio, come elemento fondante, il principio della cultura dei pari. «Ciò che cambia– sottolinea in particolare Bruttini – è la cultura del potere manageriale, del controllo ex ante ed ex post del sistema e delle persone attraverso strumenti quali cruscotti e dashboard. Servono capacità di auto-organizzazione e capacità di utilizzare risorse e raggiungere risultati facendo efficienza. Serve fare innovazione e organization design portando all’interno dell’azienda i clienti, i partner e i fornitori e, soprattutto, le loro conoscenze».

Il futuro, nella visione di Bruttini, è quindi delle organizzazioni che sanno essere “open” rispetto al cambiamento e alla gestione della complessità. Da qui il senso della nuova idea del comando, in cui il capo presidia i confini e tollera il fatto di non avere più il controllo totale delle persone e delle cose. Con un’importante precisazione da fare. «Non è un’anarchia. Le regole ci sono e si gestiscono gli schemi, le situazioni di transizione ed imprevedibili, le mutazioni». Di tentativi che vanno verso la “soppressione” della figura del capo ve ne sono parecchi e uno a cui fa riferimento il socio-analista è Zappos, un’azienda americana che opera online nel campo delle scarpe e dell’abbigliamento. Il termine usato per descriverne la filosofia di management è Holacrazia, e cioè una nuova forma di organizzazione che punta a sostituire la tradizionale gerarchia con un sistema ad autorità distribuita. «Si tratta – spiega Bruttini – di un sistema circolare che governa le relazioni top down e bottom up. Con Sociocrazia, invece, si intende la capacità di costruire gruppi di lavoro basati sull’assenza del diritto di veto e fondato sul diritto di provarci, di creare spazi aziendali in cui attivare e stimolare variazioni impreviste che portano innovazione».

L’evoluzione della leadership si può infine leggere attraverso le diverse tipologie di cultura manageriale che caratterizzano le imprese. Quella anglosassone predilige il lavoro di squadra, quella latina è proiettata a cogliere e soddisfare i desideri e le esigenze del capo. Quest’ultima, come conferma il presidente di Forma del Tempo, rischia di tendere all’immobilismo in presenza di gerarchie forti. Nelle imprese italiane il concetto di open leadership è al momento più recepito nelle medie e piccole organizzazioni (fra 10 e 150 dipendenti) e un caso di eccellenza in tal senso è la trevigiana Breton, dove circa un centinaio di addetti specializzati operano e progettano macchine avanzate in una logica «peer to peer» di autogestione e di gestione fra pari. «Le organizzazioni aperte – conclude Bruttini – sono anche quelle più trasparenti e più etiche, in cui le persone comprendono gli obiettivi a cui contribuiscono e di conseguenza sviluppano un maggiore senso di appartenenza. Un modello di azienda open che richiama questi principi? La vecchia Olivetti».

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