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Suguru Miyake, il successo passa dall’attenzione alle Pmi del Giappone

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appunti da tokyo

Suguru Miyake, il successo passa dall’attenzione alle Pmi del Giappone

Suguru Miyake (Nihon)
Suguru Miyake (Nihon)

TOKYO – A ridosso di Ferragosto un evento a suo modo storico ha interessato la Corporate Japan: per la prima volta una grande società tecnologica è passata definitivamente in mani straniere. Con il perfezionamento dell’acquisizione di Sharp da parte della Foxconn (Hon Hai), il ceo Kozo Takahashi ha dato le dimissioni e il management è passato tutto nella mani dei taiwanesi, a partire dal nuovo ceo: Tai Jeng-wu, braccio destro del patron Terry Gou, è diventato il primo capo scelto fuori dai ranghi aziendali nella centenaria storia della Sharp.

Ma ci sono altri segnali secondo cui il mondo delle aziende sta cambiando. La prima decisione di management sta diventando quella più strategica: come assicurare il futuro dell’impresa. Per Sharp, si è trattato di scegliere un partner straniero, visto che le banche giapponesi si erano stancate dei ripetuti salvataggi della società. Per la maggior parte delle piccole imprese giapponesi, che danno occupazione al 70% della forza-lavoro complessiva, il problema è che l’età media dei capi-azienda (che sono in genere anche i proprietari) è di 67 anni.

Ecco perché Suguru Miyake è diventato il leader di una società che ha avuto in Borsa una performance straordinaria: Nihon M&A Center Inc., quotata dal 2006 (+1200% dall'Ipo), ha accelerato il suo business diventano una beniamina degli investitori. Miyake aiuta le piccole aziende a garantirsi un futuro. Come? Cercando per loro partner e compratori. Due terzi delle Pmi in Giappone non ha una prospettiva di successione ai leader- padroni, i cui figli non ne vogliono sapere. Inoltre, con il calo della popolazione e della forza-lavoro, si prospetta anche una diminuzione dei consumi: le circa 4 milioni di Pmi giapponesi non potranno sopravvivere senza cercare soluzioni strategiche come le fusioni.

Secondo Miyake, due milioni di Pmi finiranno per scomparire o esser assorbite. La sua genialità è stata quella di concentrarsi sulle aziende piccole (da 10 a un centinaio di dipendenti): così non ha la concorrenza delle banche d’affari, che puntano a operazioni con redditività potenziale più alta e quindi snobbano proprio gli operatori che hanno realmente più bisogno di M&A. Miyake, oltre che businessman, è diventato un vero psicologo: la cosa più importante, dice, è convincere il vecchio proprietario a firmare la vendita. In passato, molti di questi piccoli capitani d’impresa preferivano affondare con la nave che avevano costruito, se i figli erano interessati ad altro. Vendere, in Giappone, era (e in parte è ancora) considerata quasi una vergogna e sicuramente una sconfitta. Ma le cose stanno lentamente cambiando. Con Miyake che fa da onesto e sagace intermediatore, aziende dei più svariati settori trovano un partner che fa da alternativa a una chiusura che, in fondo, sarebbe vergognosa.

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