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Michael Woodford, il moralizzatore messo sotto accusa da Olympus

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appunti da tokyo

Michael Woodford, il moralizzatore messo sotto accusa da Olympus

Michael Woodford
Michael Woodford

TOKYO - Il grande moralizzatore finisce sotto accusa e la sua immagine viene intaccata fino al punto che il pubblico comincia a dubitare che sia stato un eroe positivo. È una dinamica accaduta più volte e in molti Paesi, forse in Italia anche più che altrove, tanto da esser stata incarnata da Alberto Sordi nel film «Tutti dentro». Michael Woodford, il manager britannico che nel 2011 fece scoppiare uno dei più gravi scandali nella storia della Corporate Japan poco dopo esser diventato Ceo di Olympus, ora viene accusato dalla stessa società di imaging e attrezzature medicali di aver manipolato il suo personale piano pensionistico in modo sostanzialmente truffaldino. Con una richiesta di danni, a lui e a un suo stretto collega, da oltre 15 milioni di sterline.

L’azione giudiziaria è stata promossa in Gran Bretagna da KeyMed, filiale britannica di Olympus di cui Woodford era stato managing director. Secondo i rilievi accusatori lui e un altro ex dirigente, Paul Hillman, avrebbero abusato del loro ruolo per ingannare gli altri membri del board nel 2005 e spingerli ad approvare un nuovo piano pensionistico per manager finalizzato a garantire contributi eccessivi, al fine ultimo di gonfiare le loro future pensioni. Woodford nega ogni irregolarità e sostiene che si tratta di una manovra per danneggiare la sua reputazione nonché lesiva dell’accordo stragiudiziale transattivo (secondo indiscrezioni, da 10 milioni di sterline) raggiunto con Olympus nel 2012. Quindi ha citato lui stesso per danni la società con una controrichiesta multimilionaria (in sterline).

La faccenda che riguarda Woodford ha tecnicalità complesse e molte carte non sono ancora di dominio pubblico. L’impressione che se ne ricava riguarda tre punti di verosimiglianza. Appare probabile che Woodword e Hillman siano stati un po’ avidi. Altrettanto probabile appare che, come sostengono, abbiano agito «in piena trasparenza» con il consenso del board. Se Olympus ora allega che il settlement del 2012 non impedisce successive azioni giudiziarie relative a comportamenti illegali intenzionali, è praticamente certo che nulla sarebbe stato eccepito se Woodword non fosse diventato il re dei “whistleblowers” cinque anni fa.

Il 56enne manager britannico era stato assunto nel 1981 e aveva avuto una carriera splendida sfociata in un posto nel board di Olympus nel 2008. A sorpresa, nell’estate 2011 era stato nominato addirittura primo Ceo straniero del gruppo. Una vera rarità nell’intera Corporate Japan. Senonché, proprio pochi giorni dopo la nomina, Woodford aveva trovato nella sua casella varie email che segnalavano un articolo della rivista d’assalto “Facta”, in cui si sollevavano sospetti su enormi commissioni pagate su conti delle isole Cayman in relazione all’acquisizione della società Gyrus. Il nuovo Ceo aveva chiesto spiegazioni al presidente Tsuyoshi Kikukawa, che l’aveva scelto come Ceo, e ad altri top manager, ottenendo reazioni gelide ed evasive. Ma non aveva mollato.

Per farla in breve, ben presto erano emerse altre operazioni sospette e Woodford finì per scoperchiare uno scandalo contabile da 1,7 miliardi di dollari che durava da molti anni. Licenziato con la motivazione di «non comprendere la cultura» dell’azienda in cui aveva lavorato per trent’anni, si era trasformato in grande accusatore, presentando documenti alle autorità. Olympus finì per perdere in Borsa oltre l'80% del suo valore e tre top manager (compreso il presidente) ricevettero condanne penali (sospese). Un rapporto indipendente giunse alla conclusione che l’intera cultura manageriale del gruppo era “bacata”. Woodford divenne per molti un eroe e ricevette premi per il suo coraggio e la sua onestà.

Ora gestisce una charity per la trasparenza, la Safer Road Foundation. E afferma che le accuse contro di lui sono senza alcun fondamento: una vendetta. Peraltro ha sempre sostenuto che, se pure buona parte dell’opinione pubblica giapponese l’ha sostenuto, nel mondo dei manager nipponici, per oltre l'80%, e' sempre stato giudicato un traditore che ha sputato nel piatto dove ha mangiato.

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