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Dipendenti insoddisfatti: Larry Fink «avvisa» la Corporate Japan

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appunti da tokyo

Dipendenti insoddisfatti: Larry Fink «avvisa» la Corporate Japan

Quanto è importante la soddisfazione dei dipendenti per una crescita sostenibile dell’azienda in cui lavorano? Molto. A dirlo ai top manager della Corporate Japan non sono i sindacati, ma il principale investitore mondiale. BlackRock Japan ha combinato il recente messaggio del Ceo Larry Fink con una lettera esplicativa del responsabile per il Sol Levante Yoshiyuki Izawa: la sorpresa è che le 400 imprese destinatarie sono sollecitate a fare progressi nel “management” della componente lavoro per rafforzare il morale della truppa, investendo nello sviluppo delle capacità dei dipendenti e nel cercare di migliorare i loro standard di vita, fino a dedicare risorse per aiutarli a pianificare il «post-retirement» stimolandoli a una cultura finanziaria-previdenziale.

Il gruppo americano - primo asset manager globale con 5.100 miliardi di dollari in gestione - ha stupito quest’anno con le sue maggiori pressioni su temi normalmente ignorati dalle società finanziarie, come la richiesta di spiegazioni su come i cambiamenti climatici possano avere impatto sul business o sulla diversità di genere nei consigli di amministrazione. In Giappone - dove Blackrock gestisce oltre 20mila miliardi di yen (175 miliardi di dollari) investiti in più di mille aziende nipponiche - lo stupore è stato forse ancora più grande che altrove. I dirigenti giapponesi sono ormai abituati a considerare i fondi stranieri come disturbatori della quiete per fini gretti, nonché insaziabili cacciatori di maggiori dividendi.

Larry Fink si distingue dagli hedge fund sostenendo di curare gli interessi dei clienti con un’ottica di investimento a lungo termine, il che gli dà titolo per sollecitare le aziende sulle strategie long term e sui processi decisionali (questo era stato il tema della lettera dell’anno scorso). In lettere che vogliono esser una piattaforma di dialogo con i manager aziendali, la priorità dichiarata da BlackRock va non tanto a cedole e buyback, ma agli investimenti societari in capitale, tecnologie e anche personale. Pare che qualche executive giapponese abbia sospettato secondi fini, come un aleggiare di minaccia di disimpegno o voti contrari in assemblea in base a parametri vaghi, magari per ottenere altro.

È sicuro che gli industriali nipponici quest’anno non intendono rendere più soddisfatti né i dipendenti, né lo stesso primo ministro Shinzo Abe, né il governatore della Banca del Giappone Haruhiko Kuroda. Alla tornata in corso di negoziati con i sindacati (la cosiddetta “Shunto”, offensiva di primavera sui salari), hanno già messo in chiaro che concederanno aumenti inferiori a quelli erogati lo scorso anno, quando già aveva offerto una disponibilità inferiore a quella di un anno prima. Ad esempio la Toyota - che fa da benchmark per le altre Case automobilistiche - ha offerto un incremento del salario base limitato a 1.300 yen al mese (poco più di 10 euro) contro i 1.500 dell’anno scorso e i 3mila delle speranze sindacali (ma concederà altri 1.100 yen per i dipendenti con figli).

Abe e Kuroda speravano che le aziende mostrassero una maggiore disponibilità, al fine di rilanciare un punto debole dell’economia come i consumi e quindi dare una spina anche alle aspettative di inflazione. Gli industriali affermano che la situazione attuale è troppo incerta per poter largheggiare, riferendosi non solo e non tanto alla congiuntura globale ma a nuovi elementi di preoccupazione, come gli atteggiamenti dell’amministrazione Trump venati di tendenze protezionistiche che potrebbero danneggiare la Corporate Japan.

Per il momento, insomma, la loro risposta a chi chiede di fare più felici i lavoratori come presunta azzeccata scelta di management, è quella di Pio VII all’ufficiale napoleonico che gli chiedeva di cedere alla Francia i territori dello Stato Pontificio: «Non possiamo. Non dobbiamo. Non vogliamo». Per la cronaca: quel Papa fu arrestato. Per la storia, la difesa a oltranza del potere temporale fu di retroguardia.

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