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Donne e professioni digitali: c’è un divario di genere che va superato

Dal Data protection officer al Data scientist, dal Big Data engineer al cybersecurity expert: le professioni legate alla trasformazione e all’innovazione digitale sono ormai sulla bocca di tanti e animano diversi dibattiti in chiave di change management. A detta di molti esperti sono queste le figure che avranno le migliori opportunità di lavoro in tutti i settori di mercato nell’immediato futuro. Se guardiamo allo spaccato italiano, nelle aziende la presenza di queste figure si rivela però ancora limitata, e prevalentemente maschile.

Il gentil sesso, insomma, sembra per il momento poco coinvolto nell’ambito delle professioni tecnico-scientifiche - le cosiddette STEM, acronimo di Science, Technology, Engineering and Mathematics - e proprio su questo argomento ha posto l’attenzione una ricerca condotta da NetConsulting Cube (per conto di CA Technologies) su un campione di responsabili delle risorse umane e di direttori dei sistemi informativi (due terzi dei quali uomini) di 60 imprese della Penisola. L’indagine ci dice infatti che gli addetti impiegati in ruoli tecnico scientifici sono il 30% e, di questi, solo il 13% è rappresentato da donne.

Lo scenario appare ancor meno equilibrato visto e considerato che, nel 64% delle aziende, meno del 10% delle professioniste in ambito Stem ricopre ruoli dirigenziali. Il livello di retribuzione delle tech professioniste, inoltre, risulta inferiore nel 36% delle realtà, e questa disparità di riconoscimento economico è più marcata nei ruoli apicali. Pochissime donne, infine, operano nei ruoli tecnici più innovativi all’interno delle strutture informatiche delle aziende campione, e più precisamente il 25% tra i Big Data engineer e i digital information officer e fra il 15% e il 25% tra gli specialisti in materia di Internet delle cose, cybersicurezza, dati e applicazioni mobili. Nessun rappresentante dell'universo femminile svolge compiti riconducibili a quello del Data Scientist.

C’è una sola professionalità che vede la presenza di donne raggiungere il 50% ed è quella dell’esperto in metodologie “Agile”, legate cioè alla capacità di sviluppare in modo rapido e veloce le applicazioni software. Spicca in modo evidente, quindi, un significativo divario di genere, che Chief information officer e It manager giudicano nel 35% dei casi ancora molto elevato, mentre una responsabile It donna su due ne conferma la sostanziale entità. Per contro c'è chi, fra gli intervistati di sesso maschile, nega che questo gap esista, e precisamente il 10,5% dei manager Hr e il 13,8% dei Cio.

A cosa si deve questa disparità di trattamento/inquadramento? Dai responsabili del personale sono arrivate indicazioni su quali siano i soft skill più richiesti per le professioni e i modelli lavorativi del futuro e sull’attuale predisposizione del gentil sesso a soddisfare le attitudini fondamentali per ricoprire questi ruoli in azienda. Solo una parte marginale degli Hr manager, meno di un quarto nel complesso, dichiara in proposito di riconoscere nelle caratteristiche delle donne, in misura idonea alle esigenze, virtù quali apertura al cambiamento, collaborazione e teamworking, creatività e orientamento al cliente. Si tratta di effettive carenze dei profili femminili o l’effetto di una colpevole cecità da parte di chi è responsabile delle risorse umane? Il dibattito è ovviamente aperto.

Stando alla ricerca, invece, le donne si dimostrano più che all’altezza in fatto di problem solving (al quarto posto tra gli skill richiesti) e multitasking, caratteristica che “stranamente” non viene ritenuta particolarmente importante ai fini delle performance lavorative secondo il 40% del campione interpellato. Interessanti, per completare lo scenario, sono le prese di posizione degli It manager circa le principali attitudini in grado di abilitare i processi innovativi: in cima ai “desiderata” vi sono la capacità di visione a medio e lungo termine (citata nell’85,4% dei casi) e l’apertura al cambiamento (84,6%), seguite dalle capacità manageriale e di leadership, dalla flessibilità, dalla proattività e infine dalla propensione al problem solving.

Ma quali sono, in quest’ottica, gli ostacoli che limitano l’assunzione di risorse femminili in ambito tecnico scientifico? A detta dei responsabili Hr, le prime difficoltà si rivelano già in fase di recruiting. La scarsa la disponibilità di risorse laureate in discipline Stem è il primo fattore critico per il 43,2% degli intervistati, per il 29,7% a pesare è lo scarso livello di interesse delle donne verso le professioni It e per il 27% sono poche le loro esperienze lavorative pregresse in ruoli tecnico-scientifici. Parallelamente, però, gli stessi Hr manager ammettono l’esistenza di resistenze culturali interne all’organizzazione e di difficoltà organizzative per integrare le risorse femminili nei ruoli di cui sopra.

La limitata “quota rosa” in ambito Stem dentro le aziende si spiega inoltre con le difficoltà a conciliare i tempi del lavoro con quelli familiari (lo afferma il 50% dei responsabili delle risorse umane), gli stereotipi di genere associati a queste categorie di competenze (47,4%), le minori possibilità di fare carriera rispetto agli uomini (47,4%) e la scarsa applicabilità di soluzioni lavorative part-time e flessibili (47,4%). In linea generale, tutti gli ostacoli elencati dai manager Hr sono confermati anche dai colleghi dei sistemi informativi. Il 79,1%, in particolare, riconosce come per una donna sia più difficile fare carriera in ambito tecnologico rispetto a un uomo mentre il 75% ritiene le donne sotto-rappresentate nelle posizioni manageriali e di responsabilità.

Indicazioni che riflettono, in effetti, la scarsa presenza femminile nei dipartimenti informatici delle aziende interpellate, in quanto parliamo mediamente del 28% del totale, dato che sale al 31% nei casi (rari) in cui il Cio è donna. Se al vertice della divisione It c’è un'esponente femminile, il 78,6% delle donne è responsabile di area, in caso contrario questa percentuale si riduce a meno di un terzo (il 23,5%). Come dire: la rivoluzione digitale nelle imprese italiane presenta, almeno per il momento, una forte connotazione maschile, che non sembra andare nella direzione delle pari opportunità fra le figure professionali dei due sessi.

Il cosiddetto “gender gap”, in ogni caso, sembra essere stato assunto a problematica da risolvere almeno dalla metà dei responsabili delle risorse umane e dell'area informatica oggetto di indagine. Il 52,8% dei primi ha infatti già sviluppato una politica di pari opportunità di carriera, iniziativa caldeggiata anche dal 45,2% dei secondi, il 33,3% ha avviato programmi mirati a indirizzare in modo corretto le necessità espresse dalle donne rendendo disponibili soluzioni lavorative a tempo parziale e flessibile e il 25% ha promosso l’utilizzo di soluzioni di smart working.

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