L’86% degli amministratori delegati e dei direttori generali italiani considera la digital transformation una priorità immediata per la propria azienda, ma solo poco più della metà di questi, il 54% per la precisione, pensa di dover avere un ruolo di primo piano nella sua pianificazione e nella sua esecuzione. Il dato, solo in apparenza sorprendente, emerge dal rapporto «I Ceo italiani di fronte alla Rivoluzione 4.0» realizzato da Sap Italia in collaborazione con The European House – Ambrosetti e condotto su un campione eterogeneo di organizzazioni attive in tutti o quasi i settori dell’economia della Penisola, dal manifatturiero alla Pubblica amministrazione.
Il messaggio chiave che sortisce dall’indagine è quindi in linea con molte delle analisi che fotografano il livello di innovazione culturale e tecnologica del sistema Paese: la consapevolezza dell’importanza strategica della digital transformation e di dover attivare questo processo, a tutti i livelli e in tutte le aree della propria organizzazione, non manca ma sono anche evidenti le difficoltà nel sostenerlo in modo organico. L’impatto che questa rivoluzione, di forte discontinuità tecnologica, esercita sulle diverse componenti organizzative dell’azienda, e quindi sui suoi modelli di business e sulle modalità di relazione con il cliente finale, è sostanziale e la maggior parte del top management italiano sembra aver recepito questo imput.
Come giustamente ricorda lo studio, le organizzazioni devono però essere pronte ad affrontare un processo di evoluzione strutturale adottando una mentalità votata al cambiamento e all’assunzione di rischi. È quindi fondamentale che l’intero organigramma aziendale abbia consapevolezza della necessità di osare, di mettersi in gioco. Ceo, direttori generali e amministratori delegati dovrebbero in altre parole guidare in prima persona la riorganizzazione
dell’azienda, creando la flessibilità e l’apertura necessarie per rispondere con efficacia all’esigenza di innovazione. Ad oggi, invece, solo un esponente del vertice aziendale su due è convinto di dover promuovere e gestire personalmente questo processo.
Se si vuole che la propensione alla trasformazione diventi parte integrante della cultura aziendale, così chiosano gli autori del rapporto, è auspicabile che il top management sviluppi una maggiore consapevolezza del proprio ruolo. Di cambiamento, dunque, si tratta e la centralità di questo cambiamento, come conferma lo studio, è riconosciuta trasversalmente in tutti i settori, per quanto alcuni si dimostrino più sensibili di altri. Telecomunicazioni, servizi finanziari ed automotive, in particolare, sono comparti che stanno già sperimentando un impatto immediato e rilevante del nuovo paradigma.
Altre differenze di percezione circa l’importanza della rivoluzione 4.0 emergono in funzione delle dimensioni aziendali: la consapevolezza appare più accentuata nelle realtà di piccole dimensioni (vale per il 92,5% di queste) rispetto ai grandi gruppi sopra i 500 milioni di euro di fatturato, che si dimostrano convinte della necessità di evolvere solo nel 75% dei casi. Un Ceo italiano su cinque, fa notare ancora il rapporto, considera il mondo dell’automotive e della meccanica un riferimento da cui trarre ispirazione e nuovi stimoli sull’applicazione delle tecnologie 4.0.
L’attenzione maggiore del management, per puntare a un processo vincente di digitalizzazione, va necessariamente alle risorse umane presenti in azienda. È infatti imprescindibile, dicono gli esperti di Ambrosetti, individuare le aree di resistenza al cambiamento interne all’organizzazione e gestirne le reazioni. La situazione di partenza non è però ottimale, in quanto vi è una limitata consapevolezza di questa necessità e una conseguente approssimativa attenzione verso le azioni utili a sostenere la trasformazione aziendale.
Le aree in cui il cambiamento 4.0 impatta maggiormente sono marketing e servizi post-vendita, logistica, produzione e attività amministrative ed è nei confronti di queste funzioni che le risorse umane devono maggiormente concentrare i propri sforzi. Se lo sviluppo di competenze digitali adeguate è un passaggio obbligato, altrettanto importante è affrontare il problema della riconversione e dell’assorbimento della forza lavoro.
«La velocità e l’accelerazione del cambiamento – questo il commento di sintesi alla questione di Valerio De Molli, Managing Partner e Ceo di The European House – Ambrosetti - rende la sfida innanzitutto culturale: per avere un’organizzazione 4.0 occorre che anche le persone abbiano una testa 4.0. Il lavoro si sposterà dalle mansioni ripetitive, affidate all’intelligenza artificiale, a quelle a valore aggiunto per cui l’uomo è indispensabile. E il Chief executive officer ha in questo processo un ruolo-chiave: quando una trasformazione è di tipo culturale serve tempo, e se questo è limitato, il cambiamento deve essere guidato da un leader con grande capacità di visione».
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