TOKYO - Gestire un business di esportazione in Giappone ha ricadute positive sui processi aziendali complessivi. Nel senso che «su questo mercato è essenziale puntare sulla qualità. Anzi direi sulla perfezione. Non solo sul piano del prodotto intrinseco, ma anche nel packaging e in ogni dettaglio». È il massaggio del capo di una azienda alimentare che ha una esperienza di 35 anni nel Sol Levante. Antonio Ferraioli è l’amministratore delegato di «La Doria», la società di Angri (Salerno) che ha nel Giappone il principale mercato in Asia per i suoi derivati del pomodoro.
In tasca ha due biglietti da visita, di cui uno in lingua giapponese, e viene di persona a Tokyo una o due volte l’anno. Anche questo è un messaggio: i rapporti con i clienti vanno curati in modo costante e con attenzione ai dettagli. «Non si tratta solo di fare incontri in albergo - aggiunge Ferraioli -. Per me è importante anche cercare di cogliere le evoluzioni del mercato. Girare per i punti vendita. Osservare. Cercare di comprendere meglio». Reciprocamente, i clienti giapponesi sono una presenza costante in Campania durante la stagione della raccolta: buon per loro, visto che la tarda estate è un periodo decisamente piacevole se ci si piazza, sia pure per lavoro, sulla costiera amalfitana o salernitana. Loro osservano e fotografano tutto.
Non è un caso che il gruppo abbia deciso di concentrare in uno degli stabilimenti - quello di Fisciano - la produzione per il mercato giapponese, anche per alcuni prodotti particolari, impostandolo su «best practices» che fanno da riferimento anche per gli altri sei impianti produttivi. «Altrove può non essere un grande problema se una confezione ha un piccolo insignificante difetto. Ma il consumatore giapponese non la vuole e l’intermediario la respinge - afferma Ferraioli -. Se in qualche mercato europeo il prezzo può essere un fattore fondamentale, in Giappone sono più importanti altri elementi».
Qualità, eccellenza del servizio e puntualità nelle consegne hanno un’importanza primaria. Su questi punti l’esempio viene dai clienti giapponesi nei confronti della loro clientela. «Se ci sono picchi improvvisi e inaspettati di vendita e la distribuzione rimane a corto di prodotti, capita che gli intermediari giapponesi ci diano un ordine di spedizione per via aerea: loro si accollano i costi superiori, in quanto ritengono essenziale non deludere mai i loro clienti». In un circolo virtuoso quindi, il cliente finale, il consumatore, non viene mai deluso.
La Doria è presente in Giappone dal 1982, ossia da prima della «bubble economy» favorita dall’accordo del Plaza del 1985 e dei successivi assestamenti. Il suo business, però, non ha registrato oscillazioni violente in un senso o nell’altro: «Abbiamo avuto una crescita costante parallela alla crescente diffusione di abitudini alimentari orientate verso alternative alla cucina nazionale - osserva Ferraioli -. Negli ultimi tempi c’è stata una stabilizzazione dei consumi. E ora stiamo puntando più carte anche su altri mercati asiatici».
Sta dando soddisfazione, ad esempio, la Corea del Sud, specie per un prodotto particolare come i fagioli in salsa di pomodoro. In Cina l’espansione della classe media e dell’urbanizzazione offre opportunità, specie per i sughi pronti in vetro che i cinesi usano per condire la pasta. Inoltre i consumatori cinesi sono più aperti al prodotto straniero perché, dopo l’emergere di vari scandali, si fidano meno del prodotto locale: così la confezione arriva con etichetta italiana su cui ne viene aggiunta un’altra. Al di là di qualche problema di imitazione e contraffazione del marchio, La Doria sta cercando accordi con la grande distribuzione, ha già un rapporto privilegiato con Walmart e indirettamente vende anche su Alibaba: «In Cina l’e-commerce è il futuro», afferma Ferraioli. Comunque a tutt’oggi la Corea rappresenta un decimo e la Cina un ventesimo del business in Giappone. La prossima tappa per La Doria sarà il Sud Est asiatico.
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