Il fenomeno ha radici lontane. Occorre infatti tornare indietro di 20 anni esatti, al 1997 dunque, quando Tsugio Makimoto e David Manners pubblicarono il libro «Digital Nomad». Il nomadismo digitale oggi ha forme e connotati diversi da allora perché è cambiata, per prima cosa, l’identità delle persone che lavorano ovunque, viaggiando in qualunque luogo del mondo, sfruttando un collegamento Internet. Questa comunità di professionisti (manager inclusi) che svolge la propria attività grazie a un computer connesso in Rete è cresciuta così esponenzialmente da ridefinire i paradigmi di cosa significhi lavorare.
L’assunto, che merita senz’altro un approfondimento, arriva dall’Osservatorio di Copernico, spazio di co-working ed aggregazione che nel complesso ospita oltre 600 aziende ed è scelta come sede di lavoro e luogo per meeting ed eventi da circa tremila persone ogni giorno. A formare l’ecosistema di chi lavora cavalcando le tecnologie digitali ci sono tante figure professionali: imprenditori di vario genere, esperti della comunicazione, Web designer, programmatori informatici e altre ancora. Tutte, a vari livelli, approfittano della pervasività delle tecnologie, della capillarità delle reti Wi-fi e degli smartphone, dei sistemi di pagamento elettronico e delle applicazioni che permettono di coniugare mobilità e attività professionale.
È una delle espressioni dello smart working, di un modello di flessibilità del lavoro che sta via via affiancando la tradizionale schematizzazione del lavoro in termini di ambienti (gli uffici) e abitudini (la presenza alla scrivania). È un cambiamento, secondo alcuni, forse irreversibile, connaturato all’evoluzione della società che vive e si nutre di digitale. Ma porterà i benefici attesi e sperati? Migliorerà veramente la qualità di vita di chi lavora (semplici addetti ma anche top manager, tutti ne sono coinvolti) e stimolerà la crescita e l’avanzamento delle competenze? Il dibattito, con visioni anche diametralmente opposte, è più che mai aperto.
Ci sono però indicatori, come ci ricorda l’Osservatorio di Copernico, che attestano in modo inequivocabile come la rivoluzione del lavoro sia già iniziata ed avviata a cambiare schemi e modelli consolidati. Una ricerca della società di software Intuit, per esempio, ci dice che entro il 2020 oltre 7,5 milioni di lavoratori americani (il doppio rispetto ad oggi) svolgeranno attività legate all’economia on-demand, e quindi fluide, flessibili e spesso intermittenti. In Italia, come rileva l’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano, sono già il 30% del totale le aziende italiane che si dichiarano favorevoli al lavoro da remoto.
I nomadi digitali, aprendo l’orizzonte all'intero pianeta, potrebbero essere secondo alcuni studi almeno un miliardo entro il 2035. Il fenomeno è reale e accompagna la nascita e l’affermazione di piattaforme loro dedicate, come Nomad List, sito Web che elenca le migliori città dove poter vivere lavorando da remoto in funzione delle proprie esigenze e delle proprie preferenze. Il nomadismo digitale è anche un driver per il successo di progetti di co-working che accolgono professionisti provenienti da tutto il mondo: l’esempio più virtuoso segnalato da Copernico è Hubud, spazio sorto a Bali nato nel 2012 e frequentato oggi da un'utenza “nomade” proveniente da 75 Paesi e che per l’80% è composta da europei e americani.
Ma chi sono, tornando alla natura di questi lavoratori della società 2.0, i nomadi digitali? I loro profili sono molto diversi (in termini di professionalità esibite) e generalmente si tratta in larga parte di uomini. Secondo l’Osservatorio di Copernico, le donne non mancano, sono sempre di più e molte di loro hanno deciso di condividere la loro esperienza attraverso blog e piattaforme “al femminile”. Una sorta di “nomad list” è Women Digital Nomads, portale Web che aiuta le donne che lavorano “viaggiando” a trovare le città più adatte a loro. Sulla falsariga opera anche Digital Nomad Girls.
Il punto focale della questione non è comunque legata al genere (mentre lo è nel mondo delle professioni “tradizionali”, dove il gap fra uomini e donne, in termini di opportunità di carriera, è spesso molto rilevante). Il nomade digitale supera i confini di genere e cavalca a proprio vantaggio la dematerializzazione resa possibile dalla Rete e la flessibilità a livello lavorativo che questa dematerializzazione ha originato. Il posto di lavoro fisso, regolato e schematizzato, probabilmente non verrà mai meno in assoluto. Ma è indubbio che il tema del “work-life balance”, del corretto equilibrio fra lavoro e vita privata, debba essere maggiormente considerato. Tanto da chi cerca nuovi sbocchi professionali in modo itinerante quanto da chi, vedi il management aziendale, è chiamato quotidianamente a valorizzare le risorse e le competenze a disposizione per massimizzare l’efficienza e aumentare la produttività in chiave business.
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