Fin dai tempi dell’università, nelle diverse teorie sulla motivazione da Maslow a Herzberg, da Mclelland a Locke, ho sempre avuto l’impressione che si cercasse di mettere in scatola qualcosa di estremamente mutevole e complesso, come mutevoli e complesse sono le relazioni umane. L’aver scelto il mestiere del consulente ha confermato tutti i miei sospetti, lasciandomi molti dubbi e due grandi certezze. La prima è che in azienda il tema della motivazione si riduce spesso a due grandi domande: come faccio a motivare i miei collaboratori o fare in modo che si auto-motivino? e/o come faccio ad auto-motivarmi visto che, per altro, mi viene richiesto in continuazione?
La seconda certezza è che l’etimologia dei termini aiuta. L’origine latina in questo caso (motivus / motus / movére) non lascia dubbi sul fatto che sia motivante ciò che spinge, che suscita a fare. Certo sarebbe auspicabile che la direzione dell’azione fosse quella desiderata, ma le ricette nelle relazioni umane sembrano funzionare solo al contrario, come sperimenta chiunque viva rapporti di coppia. Sareste in grado di stilare un elenco di azioni per rendere sicuramente felici i vostri partner? Immagino di no. Eppure sareste abilissimi nello stilare un vademecum su come invece demotivarli fino allo sfinimento. Vero? Le ricette funzionano solo al contrario appunto. Irritante ed ingiusto, ma è così.
Non ho ricette perfette sulla motivazione, dunque, ma dopo quindici anni da consulente ecco le frasi killer che ho sentito pronunciare più spesso e da cui tenersi alla larga:
Devi motivarti da solo: ovvero la motivazione è dentro di te. In ambito manageriale è una frase spesso utilizzata per lavarsi le mani da qualsiasi responsabilità legata allo sviluppo delle persone. Un mantra che spesso nasconde altre dinamiche: insoddisfazione nella relazione, assegnazione di obiettivi irraggiungibili, tagli delle risorse, gestione di trade off. Certo la motivazione dipende anche da te, ma nelle dinamiche complesse spostare il cursore tutto in una direzione o nell’altra è chiaramente un errore di semplificazione.
La motivazione non dipende da me: ovvero siccome ho un capo che non mi valorizza, allora io mi demotivo. Stessa dinamica della frase precedente, solo che in questo caso il cursore è spostato dalla parte opposta: è tutta colpa del capo o dei colleghi, dell’azienda, del governo, dell’oroscopo e così via. Si diventa irresponsabili che è l’opposto di “respons-abili”, incapaci di dare una risposta. Per gli irresponsabili è comune essere vittima degli eventi, ed attribuire a fattori esterni la propria incapacità ad agire (Attribuzioni di casualità, Werner, 1992).
La motivazione è una questione di soldi: questo è un punto delicato, poiché esiste una linea di confine legata alla sopravvivenza. Ovviamente il denaro spinge all’azione, ma ci sono tre elementi che rendono precaria l’affermazione. Primo elemento, noto già dagli studi di Herzberg e da quelli di tutte le famiglie alle prese con figli adolescenti: il denaro è un fattore motivante con una curva di efficacia molto breve. Come per la tossicodipendenza, la dose fa sempre meno effetto e dura sempre meno. Secondo elemento è che il denaro in contesti di business non è una risorsa infinita e quindi non posso continuare a motivarti a gettone, prima o poi i budget si esauriscono o diminuiscono e quindi che facciamo? Terzo elemento è che il denaro non è un serbatoio di motivazione primario. Quasi nessuno di noi nutre il desiderio di accumularlo per poi vivere di stenti. I soldi servono per portarti a casa/dentro: cose, esperienze, valori. Dovremmo essere in grado di capire quali serbatoi motivano noi stessi e gli altri, perché altrimenti alla lunga il gioco non funziona.
Motivazione = Performance: non è vero, non sono la stessa cosa. Certo esiste un legame forte fra motivazione, energia e risultati, ma occorre distinguere. La performance implica una valutazione (ha fatto bene o ha fatto male) vincolata a standard esterni. La motivazione è alla base della performance, ma è solo una delle componenti. Persone motivate possono non raggiungere gli obiettivi di business (carenza di formazione? Scarsa preparazione?) e persone demotivate invece raggiungerli (sono bravo, so come si fa, sono obbligato a farlo). Nel video della collana Workmachine, pubblicato insieme a questo articolo, il personaggio del manager incarna tutto questo. «Cu tuttu ca sugnu uorbo la vidu niura»: «Nonostante io sia orbo la vedo nera», recita un vecchio detto siciliano. Allora cosa augurarsi per non cadere nel più oscuro pessimismo?
La luce che vedo in fondo al tunnel si chiama “coinvolgimento”. Peter Drucker sosteneva che il tema è sempre meno legato al sapere cosa fare e sempre di più al “farlo”, dunque mi attivo se intorno a me ho un ambiente fertile, se mi riguarda, se mi sento partecipe. Persone che si sentono in grado di dare risposte, manager in grado di interpretare e creare contesti generativi, programmi di formazione e sviluppo che facciano emergere le energie sopite in organizzazioni nelle quali ci si spegne appena varcata la soglia d’ingresso, nelle quali si potrebbe incidere a caratteri cubitali il noto adagio di Robert Frost: il cervello è un organo meraviglioso, inizia a lavorare quando ti svegli la mattina e non smette finché non fai il tuo ingresso in ufficio.
* Senior Consultant Newton Management Innovation Spa
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