È un quadro a luci e ombre quello che emerge da un recente studio («Reshaping business with artificial intelligence») condotto da Boston Consulting Group in collaborazione con Mit Sloan Management Review e realizzato attraverso interviste a 3mila manager in 112 Paesi. L’indagine aveva per oggetto una delle tecnologie oggi al centro della discussione in merito alla trasformazione digitale di organizzazioni, processi e modelli di business: l’intelligenza artificiale (AI). Il contrasto che emerge dalle indicazioni fornite dal campione è evidente in due numeri che riflettono, di fatto, l’immaturità del fenomeno in termini di concreta adozione nelle aziende.
Se l’85% degli interpellati ritiene l’AI uno “strumento” che permetterà di guadagnare e mantenere un vantaggio competitivo, solo il 5% delle imprese censite la sta sfruttando realmente e in modo intensivo. E ancora: al 19% di organizzazioni “pioniere”, che si sono attivate o si stanno attivando con investimenti mirati sull’intelligenza artificiale, si contrappone un 36% di realtà “passive”, prive di una strategia dedicata e senza soluzioni che sfruttano le potenzialità degli algoritmi. Colpisce, inoltre, il fatto che una buona parte di queste aziende non abbia nemmeno comprensione del fenomeno e che, fra le grandi imprese con più di 100mila dipendenti, solo una su due sia impegnata in modo strutturato su questa tecnologia.
Intelligenza artificiale come opportunità dunque, ne è convinto l'80% dei manager intervistati, ed è sentita come marginale, all’apparenza, la problematica legata alla presunta perdita di posti di lavoro imputabile all’avvento dell’AI: meno della metà dei partecipanti (il 47%) si aspetta che gli organici delle rispettive aziende si riduca nei prossimi cinque anni. Ne abbiamo parlato con Jacopo Brunelli, Partner & Managing Director di The Boston Consulting Group per l’Italia.
L’intelligenza artificiale non è una tecnologia “nuova”: perchè le aziende sono ancora in una fase di studio e solo poche la stanno già applicando?
La stampa 3D è stata inventata nel 1983 e ha raggiunto la maturità solo negli ultimi anni. È ipotizzabile una tempistica simile anche per quanto riguarda l’intelligenza artificiale, che ha dei tempi di incubazione molto lunghi e, come tutte le tecnologie, non deve soltanto esistere per essere adottata, ma deve avere costi bassi, una certa maturità e mezzi adeguati a disposizione per il suo utilizzo.
Come si evita il rischio di rincorrere una moda e di disperdere risorse preziose?
Per evitare questo rischio, le aziende devono fare una riflessione strategica su come l’intelligenza artificiale può migliorare il loro business, ottimizzando ad esempio i processi, oppure ampliando la propria offerta di servizi e prodotti. È importante focalizzarsi su applicazioni concrete con benefici misurabili. L’adozione dell’intelligenza artificiale è un percorso che deve integrare le necessità del business con gli aspetti legati allo sviluppo e all’Information technology. Il business è responsabile della riflessione strategica, e quindi dell’identificazione di quelli che sono i bisogni di nuovi servizi o di ottimizzazione dei processi, con l’obiettivo di essere più competitivi. L’It, invece, deve specificare come realizzare l’implementazione, determinando quali soluzioni tecnologiche scegliere, valutandone i costi e i tempi d’adozione e definendo le competenze necessarie.
Quale figura di management deve gestire questo processo?
Può essere una figura di sintesi delle due funzioni sopra descritte, e quindi il Chief Digital Officer.
C’è grande ottimismo circa il fatto che l’AI non ruberà posti di lavoro e che le competenze dei singoli addetti aumenteranno: è giustificato?
Ottimizzando i propri processi e integrando la loro offerta con nuovi servizi e prodotti le aziende possono aumentare la loro competitività e cogliere nuove opportunità di crescita, creando in questo modo nuovi posti di lavoro. Inoltre la gestione della nuova tecnologia richiederà figure dedicate. Quello che andrà gestito è il processo di transizione verso l’adozione dell’intelligenza artificiale. Le aziende avranno bisogno di competenze diverse e dovranno impegnarsi a riqualificare quei lavoratori le cui attività verranno semplificate dalle nuove tecnologie per impegnarli in altre attività a maggior valore aggiunto.
La maggior parte dei manager è convinta che l’AI avrà grandi impatti sulla propria organizzazione nel medio periodo: perché secondo lei?
Perché queste tecnologie andranno ad impattare alcune dimensioni chiave dell’azienda: da un lato, anche grazie alla digitalizzazione dei processi, l’intelligenza artificiale permetterà di realizzare in maniera più snella ed efficace numerose attività core, mentre dall’altro nuovi prodotti e servizi innovativi permetteranno l’accesso a nuovi mercati. Nel medio periodo è quindi ragionevole aspettarsi cambiamenti significativi all’interno delle imprese.
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