C’è chi investe su programmi di corretta alimentazione nelle mense aziendali e di attività fisica con tanto di corredo di pillole dell’alimentarista o del trainer disponibili sulla intranet. Chi prevede il coach o il consulente psicologo e legale per risolvere anche questioni personali. Altri che offrono la palestra in house o in convenzione. Quando si parla di sperimentazioni sul welfare nella contrattazione aziendale è frequente assistere allo sconfinamento nel wellbeing, un tema che trova un humus molto favorevole nell’area che si propaga lungo la via Emilia, tra Bologna, Modena e Reggio dove ragionano attorno a questi temi interlocutori a vario livello, aziendale, politico, accademico, sindacale. Ducati, Lamborghini, Ferrari, Ima, Bonfiglioli fanno parte di un lungo elenco dove scorrono nomi di aziende che hanno creato una relazione sempre più basata sul coinvolgimento dei collaboratori, anche attraverso il welfare. Spostandosi sul versante servizi è in Lombardia che si trovano le storie più avanzate con Unicredit, Intesa Sanpaolo, Generali, soltanto per iniziare l’elenco che arriva a toccare anche realtà piccole ma prestigiose come Banca Passadore.
La ricerca
Le grandi imprese risultano le più numerose ad avere un piano di welfare: sono infatti il 77,5%. Aumentano, però, le piccole
imprese che stanno progettando l’implementazione del piano nel breve periodo (62,5%). Nell’approccio ai premi da
parte dei lavoratori, il denaro appare ancora l’opzione dominante, ma il welfare che entra nel premio di risultato, potenziale borsellino attraverso cui i lavoratori possono scegliere di “acquistare” beni e servizi su una piattaforma aziendale digitale, è ormai una realtà in un’azienda su due. Nell’ultimo rapporto Welfare e wellbeing, prendendo un panel di 161 società italiane piccole, medie e grandi, OD&M Consulting (società di Gi group) ha rilevato che sono il 47,8% le imprese che utilizzano il bonus per finanziare piani di welfare aziendale. Ci sono poi investimenti ad hoc che riguardano una quota maggiore, il 62,2%, mentre il 55% delle aziende, attraverso accordi con i rappresentanti dei lavoratori, prevede la possibilità di convertire il premio in servizi, con crescente attenzione verso il benessere. «Il welfare aziendale è ormai un pilastro fondamentale del total reward per la gestione del rapporto azienda e lavoratore. Proprio per questo, per garantire il successo dei piani sono cruciali il coinvolgimento dei dipendenti e la soddisfazione di effettivi bisogni che si estendono sempre più alla dimensione famigliare e al benessere individuale», dice Miriam Quarti, senior consultant e responsabile dell’area Reward&Performance di OD&M.
Importo e dimensione aziendale
Il rapporto sul premio di risultato sempre di Od&M fa invece emergere che la dimensione aziendale è il fattore che influisce
di più sull’importo che risulta mediamente più alto per le aziende di grandi dimensioni, con il 60% di queste che distribuisce
oltre mille euro, mentre tra le piccole imprese, una su due distribuisce meno di 800 euro. Non è un caso che le percentuali
di conversione più alte si ritrovino nelle grandi imprese, dove il valore del pdr è più alto. Se prendiamo i valori assoluti,
l’importo che viene convertito è condizionato da quanto il lavoratore può decidere di avere in welfare in denaro e potere
d’acquisto.
Servizi più diffusi
Tra i servizi più forniti dalle aziende, ai primi quattro posti ci sono quelli attinenti la ristorazione, l’assistenza sanitaria,
la previdenza integrativa, l’area ricreativa/sociale e scuola/istruzione, con una forte crescita di queste ultime due categorie.
La ricerca di OD&M fa emergere che oltre l’80% delle imprese offre un piano di welfare a tutti i dipendenti, mentre oltre
un’azienda su 2 (il 53,5%) differenzia i servizi, o per gruppi omogenei di persone (nel 37,2% dei casi), od offrendone alcuni
a specifici gruppi (16,3%).
... e ad alto gradimento
L’assistenza sanitaria è il servizio più apprezzato dai lavoratori con quasi l’80% di gradimento, seguito da ferie e permessi,
a testimonianza del fatto che il tempo viene considerato sempre più un fattore legato al welfare e al wellbeing.
Al terzo posto ci sono i servizi di ristorazione, seguiti da quelli di gestione del tempo che rispetto all’anno passato sono cresciuti di oltre 7 punti, arrivando a un gradimento del 78,6%, dove è previsto anche lo smart working. Seguono a pari merito previdenza e servizi di mobilità con il 69,2% di riscontro positivo, oltre ai programmi e servizi assicurativi e ai piani di maternità, tutti in crescita di gradimento nella fascia tra i 35 e i 44 anni. L’indagine di Od&m evidenzia che tra coloro che aderiscono ai piani di welfare c’è un’alta soddisfazione: a dirlo è, in media, l’84% degli intervistati, con il picco del 93,3% raggiunto nelle Pmi. Questo è anche la conseguenza del fatto che nella scelta dei servizi da erogare, oltre che in base alla possibilità di defiscalizzazione, 7 aziende su 10 sono partite da survey interne.
Benessere
Dietro la scelta di implementare i piani di welfare c’è molto spesso il miglioramento del wellbeing delle persone e del benessere
organizzativo: accade in un’azienda su 3 (35,6%). «Ciò che sembrava una frontiera, il wellbeing, è sempre più una realtà e
ambito di profonda riflessione da parte delle aziende - interpreta Quarti -. Alle imprese servono interventi integrati sul
welfare in ottica wellbeing per accrescere il benessere organizzativo generale perché l’aumento del livello di energia e di
motivazione dei singoli all’interno dell’organizzazione aiuta non solo la produttività e l’operatività ordinaria, ma ad affrontare
meglio anche i cambiamenti organizzativi necessari per la competitività». Tra i lavoratori che hanno percepito che questa
fosse la finalità principale (21,4%) è cresciuto maggiormente il grado di soddisfazione. Sono 9 lavoratori su 10 a pensare
che i servizi di welfare aziendale possono impattare positivamente sul livello di benessere personale e sul bilanciamento
tra vita lavorativa e privata e il 72,5% pensa che la propria azienda investirà in futuro su questa tipologia di servizi.
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